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      Lei perché riteneva fosse una parola scherzosa priva d'importanza, io perché realmente mi piacque e non m'importava di sapere se fosse detta sul serio o meno. Anche Renata pensava alla legge dell'eredità?
      Carlo cui raccontai come al solito tutto per sottoporre al commento della generazione presente quello che io sapevo intendere meno, mi disse: «Ma tu sbagli, zio. Essa non pensa affatto all'eredità. Pensa ai bisogni dell'ora presente».
      Io non subito intesi. Finsi però di ridere e quando intesi risi sul serio molto. Poi ci pensai ancora: Forse Carlo aveva ragione ma, nello stesso tempo, potevo aver ragione anch'io. Che cosa sono i bisogni dell'ora presente? Non sono dettati da un'imposizione imperiosa che vuol preparare il futuro?
      IL MIO OZIOGià il presente non si può andar a cercare né sul calendario né sull'orologio che si guardano solo per stabilire la propria relazione al passato o per avviarci con una parvenza di coscienza al futuro. Io le cose e le persone che mi circondano siamo il vero presente.
      Il mio presente si compone di varii tempi anch'esso: Ecco un primo lunghissimo presente: l'abbandono degli affari. Dura da otto anni. Un'inerzia commovente. Poi ci sono avvenimenti importantissimi che lo frazionano. Il matrimonio di mia figlia per esempio, un avvenimento ben passato che s'inserisce nell'altro lungo presente, interrotto - o forse rinnovato o, meglio, corretto - dalla morte del marito. La nascita del mio nipotino Umberto anch'essa lontana perché il presente vero in rapporto a Umberto è l'affetto che oramai gli porto, una sua conquista di cui egli non sa neppure e che crede spettargli per nascita.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





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