Fu uno dei suoi primi successi curativi. Egli mi propose di saltare uno dei tre miei pasti quotidiani ed io risolsi di sacrificare la cena che noi a Trieste prendiamo alle otto di sera a differenza degli altri italiani che fanno colazione a mezzo dì e prendono il pranzo alle sette. In ogni giorno digiuno ininterrottamente per diciott'ore.
Intanto dormii meglio. Sentii subito che il cuore non occupato più dal travaglio della digestione poteva dedicare ogni suo battito ad irrorare le vene, ad allontanare i detriti dall'organismo, a nutrire soprattutto i polmoni. Io che avevo già provato l'orrenda insonnia, l'agitazione enorme di chi anela alla pace e proprio perciò la smarrisce, giacevo là inerte ad attendere pacifico il calore e il sonno che arrivava lungo, una vera parentesi nella vita affaticante. Il sonno dopo la lauta colazione è tutt'altra cosa: Allora il cuore provvede alla sola digestione ed è esonerato da qualunque altra cura.
Si provò così prima di tutto ch'io ero meglio adatto ad astenermi che a moderarmi. Era più facile non cenare affatto che limitare il cibo a colazione e di mattina. Qui non c'erano oramai altre limitazioni. Due volte al giorno potevo mangiare quanto volevo. Ciò non nuoceva perché poi seguivano 18 ore di autofagia. In un primo tempo la colazione di pasta asciutta e legumi era completata da alcune uova. Poi abolii anche queste non per volere del Raulli o di Carlo ma in seguito ai consigli assennati di un filosofo, Erberto Spencer, il quale scoperse una certa legge per cui gli organi che - per sovranutrizione - si sviluppano troppo rapidamente, sono meno forti di quelli che impiegano maggior tempo a crescere.
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