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      Ora avvenne che un martedì dopo di essermi avviato alla sua casa a mezza strada scopersi che sarei stato meglio solo. Ritornai nel mio studio e serenamente mi dedicai sul grammofono alla IX sinfonia di Beethoven.
      Poi il mercoledì non avrei sentito tanto forte il bisogno di Felicita ma fu proprio la mia avarizia che a lei mi spinse. Pagavo un forte mensile e in certo modo non approfittando dei miei diritti finivo col pagare troppo. Bisogna poi ricordare che quando io mi prendo una cura sono molto coscienzioso nell'applicarla con tutta l'esattezza più scientifica. Solo così alla fine si può giudicare se la cura è buona o cattiva.
      Con la rapidità che le mie gambe mi concedono fui in quella ch'io credevo la nostra stanza. Per il momento apparteneva ad altri. Il grosso Misceli, un uomo di circa la mia età sedeva su un seggiolone in un cantuccio, mentre Felicita era comodamente abbandonata sul sofà e intenta a gustare una grossa sigaretta finissima, di quelle che nel suo appalto non si trovavano. In fondo era esattamente la posizione in cui ci trovavamo Felicita ed io quando eravamo lasciati soli, con la differenza che mentre il Misceli non fumava io m'associavo a Felicita già fumando.
      «Ella desidera» domandò Felicita in tono gelido e guardandosi attentamente le unghie della mano in cui teneva la sigaretta.
      Io non trovavo alcuna parola da dirle. Mi fu resa più facile la parola dal fatto che, a dire la verità, io non sentii alcun risentimento per il Misceli. Il grosso uomo, vecchio come me, in apparenza molto più vecchio perché imbarazzato dal suo grande peso, mi guardava esitante oltre gli occhiali lucenti appoggiati alla punta del naso.


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





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