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      Mi dissi: «Giacché ho pagato, voglio rischiare anche una volta - l'ultima - il pericolo di accennare al mio organismo da quale parte possa crollare. Per una volta! Non s'accorgerà della buona occasione».
      La porta del quartiere s'aperse nel momento stesso in cui m'accingevo di suonare. Nell'oscurità vidi con sorpresa la bella faccina pallida chiusa come in una visiera nel cappellino rosso che le copriva la testa fino alle orecchie e alla nuca. Un riccio biondo, uno solo, sbucava dal cappello sulla fronte. Sapevo che circa a quell'ora essa soleva andare all'appalto a sorvegliare quella parte della sua gestione commerciale la più complicata. Ma avevo sperato d'indurla di ritardare di quel poco di tempo che a me occorreva.
      Essa subito non mi ravvisò nell'oscurità. Fece in forma di domanda un nome che non era né il mio né quello del Misceli, ma che non sentii bene. Quando mi ravvisò mi porse la mano gentilmente senz'ombra di rancore e con qualche curiosità. Io trattenni la sua manina fredda in ambe le mie e mi feci aggressivo. Essa lasciò giacere inerte quella mano ma ritirò la testa. Mai il piuolo su cui essa era costruita s'era inclinato tanto indietro, tanto che mi sentii tentato di lasciar andare quella mano e afferrarla alla vita, non per altro scopo che di sostenerla.
      E quella faccia lontana adornata da quel solo riccio mi guardava. O guardava proprio me? Non guardava proprio ad un problema ch'ella s'era imposto e che abbisognava di una soluzione pronta, subito, là su quelle scale?


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I racconti
di Italo Svevo
pagine 387

   





Misceli