Federico Adamoli
Lo Scudo d'Abruzzo. Tra storia e sport
fasti e documenti di una competizione di motociclismo
(1935-1961)


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     Il nostro difetto non è dunque né di ardore sportivo, né di capacità tecniche o di attitudini industriali. Se il motociclismo italiano non brilla, internazionalmente, come gli altri sport, è unicamente per una ragione di politica organizzativa: perché il problema non è mai stato preso seriamente a cuore, sinora, dai dirigenti e dagli organizzatori nazionali.
     In altri termini: la nostra industria produce le «175» di gran lunga più veloci del mondo, tali da non temere il più lontano confronto con le più progredite costruzioni estere, e può contare su una fitta schiera di campioni specialisti di questa cilindrata: basti ricordare il recente «record» mondiale sul chilometro lanciato, battuto da Bonazzi su M.M. a 162 Km.-ora. Ma questa clamorosa supremazia tecnica e sportiva rimane sterile per la più banale delle ragioni: perché, nelle grandi gare internazionali che si svolgono all'estero — cominciando dalla più importante corsa del mondo, il «Tourist Trophy» inglese — la classe 175 non è ammessa!
     Viceversa, le grosse battaglie si imperniano nelle classi 350 e 500: ma in queste cilindrate, come si è detto, non solo non siamo attrezzati per «esportare» vittorie, ma neppure per difenderci in casa nostra.
     Gli evidenti rimedi per uscire da questo stato d'inferiorità sono due: fare ammettere la 175 nelle gare internazionali, o allestire macchine di media e di grossa cilindrata in grado di competere con le celebri marche inglesi. Entrambe le soluzioni sono possibili, anche simultaneamente: anzi, qualche tentativo si è cominciato, recentemente, a svolgere in entrambe le direzioni. Con successo però, sinora, assai magro. Bisogna insistere e intensificare.