Erano i tempi, in cui Biascillo, smacchiatore di rango, era apprendista nella sartoria di Francisco e i cavalli di Mallone erano dileggiati da Pellanera veloce cocchiere di falsi puro-sangue. Ciacione (Ciacino mi care...) sorbiva il caffè da Cacalletto e Porcoloca, comico di un circo sfortunato, si guadagnava da vivere girando per le cantine teramane, ove rimediava toniche famose.
Il motociclista dell'epoca che doveva partire alle otto del mattino, era costretto a rimettere la sveglia, per accendere la macchina, anche se, a piedi, avrebbe raggiunto prima la meta. Allora i motorini erano rappresentati dalle 500 cc. come oggi si compera un paperino.
A Teramo la storia della moto si perde nella notte dei tempi, come diceva la nonna. Le prime motociclette che buttavano fiamme quali draghi furenti e sparavano a tutto spiano prima di mettersi in moto, riducendo ai copiosi sudori i conducenti, avevano la trasmissione a cinghia e andavano in moto dopo lugubri peripezie lungo la discesa del mattatoio. Avevano i fanali ad acetilena, ed i carrozzini fatti di vimini rigidissimi, erano trainati riducendo all'arrivo il passeggero, in un ammasso di polvere.
Nel 1911 Romolo Ferrante Albero Guerrieri e Giovanni Felicepelo, rispettivamente su Bigdon e su Puck di 1.200 cc. senza cambio, a presa diretta, con trasmissione a cinghia di bufalo ritorta, furono i primi che si avventurarono sulla strada Teramo-Giulianova-Rosburgo. Solo nel 1919 altri temerari comparvero lungo le strade provinciali raggiungendo Castellammare Adriatico in tre tappe e furono Mario Bianchi e Romolo Lucangeli su Bigdon, Oscar De Paolis su Indian a due cilindri 1.300 cc. e Furio Cugnini su Moto Reve 600 cc. con la quale raggiunse Giulianova in 45', sorpassando in località Fiumicino (inaudito!) il treno tra lo sgomento dei viaggiatori che credettero impazzito il rampollo di don Paolo Cugnini che, dal canto suo, proibì all'esuberante figliolo di rimontare quella diavoleria a due ruote degna della gioventù bruciata del 1920.
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