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Quanne ji arpenze, e dic'accuscì Ci fice simbre l'avvucat' a nnò ?
O U
Ci fu che m' Baradise disse : embè, pe CCri La cacarell'a Téreme ? e'ddò ! gnomo !
Nem' buste tu, e nen zi simbre tu
o ' o
Che ci arpire li palle ; e pù de te
No' simbrg ce scurdeme, e pù. 'n'è cchiù.
Pe tte n'ze sona m! nu zuchetezu, Nu spare, na carrfre mi pe' tte ? Nu sunettg, nu striile. Sam Braddg i bu !
Oltre questi sonetti ed altre poesie vernacole e Toscane, egli, nel 1845, quando si tenne in Napoli il congresso degli scienziati italiani, scrisse in una sola notte una parodia di esso, fingendo che sulle rive del Tordino si fossero ancor essi raccolti a congresso gli scienziati Teramani. Fra le varie sezioni del congresso, ce n'era una chiamata de lu Sgri^e, ossia dei beoni, la quale per lingua officiale aveva adottato il patrio dialetto. Tutta la parodia, ma sopratutto la parte in vernacolo, è graziosissima, e meriterebbe di essere stampata, se non vi fossero per lo mezzo troppi nomi propri.
Se così scarsa messe ci presentano gli archivii e gli scrittori patrii, una ancora più scarsa, anzi si può dire quasi nulla, ce ne presentano gli scrittori di fuoravia. Anche ora, che questi studi sono venuti in tanto onore, nessuno, almeno per quel ch'io sappia, ha creduto degno delle sue ricerche, il dialetto Teramano.
Ed infatti se voi percorrete la Grammatica ed il Vocabolario etimologico del Die^ non ve lo trovate neppure una volta ed alla lontana accennato. Nel già sì copioso Archivio glottologico italiano diretto da.ll'Ascoli, ne verbum quidem. La raccolta dei Conti popolari italiani compilata dai professori Comparetti e D'Ancona riporta — sì — canti dell'Abruzzo Chietino ed Aquilano, ma di canti Teramani neppur uno — vale a dire, ce ne sono tre della nostra Provincia, ma di essi uno è di Catignano,