Questa pubblicazione comprende una rassegna stampa e gli atti del processo di uno dei più efferati delitti che sconvolsero la città di Teramo nel 1952.
Avevo avuto rapporti con l'Urbani fino a pochi giorni prima del fatto (1). Fu in quell'occasione che egli mi promise che mi avrebbe portato a Roma e per l'ennesima volta mi negò la sua relazione con
la Monteverde. Desideravo comunque sincerarmi e così pensai che soltanto la donna mi avrebbe potuto fornire una spiegazione e soltanto facendole conoscere i miei rapporti con T'Urbani l'avrei potuta dissuadere a sposarlo. Telefonai così verso le ore 17,30 del 13 agosto in casa Monteverde 9 verso le ore 18,30 lei venne. Entrò in casa per telefonare ed io le rivolsi subito la parola narrandole tutto per filo e per segno della mia relazione con l'Urbani.
Le dissi che con Ginof fin dal dicembre scorso eravamo come sposati (2) e che lui mi aveva più volte promesso di sposare, ma lei non volle sentir ragione, anzi mi ingiuriò e mi minacciò. Fu così, non ricordo come che venimmo alle mani. Ne nacque una colluttazione nella quale stavo per avere la peggio. Allora afferrai un col. tello che vidi posato sul fornello a gas in cucina per cercare di difendermi. Nella lotta lei mi tolse il coltello dalle mani) poi a mia volta lo tolsi lo a lei in una stretta la colpii alle spalle. Non rammento più cosa successe subito dopo, ero fuori di me. Ricordo solo che lei mi implorava perdono dicendomi che avrebbe lasciato Gino tutto per me.
Qualche istante più tardi mi accosti al corpo e mi accorsi che era morto. Presa dalla disperazione misi il corpo sotto il letto coprendolo con una vecchia fodera di materazzo e lavai il pavimento (3). Sentii bussare più volte alla porta: erano quelle persone che già sapete, dei giovanotti del vicinato e una donna. Mi dominai a mala pena tanto che riuscii a mandarli via. Dopo di che uscii, due volte uscii per andarmi a costituire ma non ebbi) il coraggio poi pensai che sarebbe stato meglio avvertire dell'accaduto Gino e gli telefonai a casa Non c'era. Egli venne solo più tardi subdorando qualcosa. In uno slancio impetuoso gli confessai ogni cosa tra, le lagrime e gli indicai pure dove stava il cadavere. Poi gli manifestai, non potendone più, il proposito di andarmi a costituire. Fu lui che mi consigliò di non farlo. « Cerca di negare quanto più puoi, nega mi disse (4) e nascondi bene il corpo della morta » Dopo le 8,30, cioè dopo che Urbani se ne fu andato io rimasi sola. Fu allora che per seguire il consiglio di Gino tagliai il cadavere per meglio nasconderlo dietro la pett'iniera.
Un lungo mormorto ha seguito questa asserzione: tutti si sono re. si conto della gravita dell'accusa.
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