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Della Storia di Teramo.
Dialoghi sette
Mutio deì Mutij
Tip. del Corriere Abruzzese, 1893, pagine 356

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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Si ringrazia Fausto Eugeni per aver messo
a disposizione la copia del volume.

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   zione Angioina, non dovessero per quaranta miglia accostarsi alla città. E ciò fece piuttosto, per sodisfare ai cittadini della fazione spennata, che per altro; perciocché a quel tempo il rigor della giustizia contro i ribelli non era si aspro, come sarebbe a questi nostri tempi, ne' quali ciascuno di qualsivoglia condizione per ogni minimo sospetto di ribellione sarebbe nella vita, e nella robba castigato. Ma allora era si grande il numero dei Baroni delle Città , e dei popoli ribelli (dico di quei, che seguirono la fazione Angioina) che sebene il Re avesse potuto castigarli tutti, aurebbo vuoto il Regno forse della metà degli abitatori. Or li Teramani exitii chi per rivedere il padre o madre, chi i figli li, e chi altri di sua casa si accostarono alia città ma uniti, e ben armati. Onde i signori del Magistrato, avendo a dispiacere, che tra i cittadini si venisse a sangue, ricorsero di nuovo al Re, il quale previde con ordine assai rigoroso, che cosi comincia. C'tin re! imi ut, et un imo iniendamus, quoti Cives Te rami tu ni, qui fneruni, et su ut pmesent

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