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Della Storia di Teramo.
Dialoghi sette
Mutio deì Mutij
Tip. del Corriere Abruzzese, 1893, pagine 356

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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Si ringrazia Fausto Eugeni per aver messo
a disposizione la copia del volume.

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   Re suo padre, per arricchir cosloro, aveva impoverito se stesso. Ed essendo di natura colerico, e nel parlar troppo libero, disse ch'egli non aurebbe mandato troppo in lungo quel che il padre lentamente aveva dissimulato. Il Petrucci, ed il Coppola conoscendo queste parole esser dette per loro, dopo un lungo discorso in più giorni avuto con i conti di Policastro, e di Carinola, figli del Petrucci, e con Antonello Sanseverino principe di Salerno , e con alcuni altri Baroni, che similmente torneano il furore di Alfonso, o peraltro, si risolverono- prevenire, per rimediare ai fatti loro. Ed essendo consapevoli, che Alfonso era odiato da Firentini, da Veneziani, ed anco * dal Papa, per avere il Re suo padre ricusato pagare I' ordinario censo, pensarono congiurar secrotamente contro il Re, e con l'a-giuto di costoro privarlo del Regno: tirandoci a tal congiura il maggior numero de baroni, che avessero potuto. Al medesimo tempo Andrea Matteo Acquaviva ( indifferentemente dagl'Istorici chiamato ora marchese di Bitonto, ed ora duca di Atri ) essendo come primogenito succeduto in tutti i suoi stati al conte Giulio suo padre, aspirando al dominio di questa città nostra patria, già posseduta da Giosia suo avo, ne richiese più volte il Re, nella cui corte fin da fanciullo era allevato. Ma Ferdinando che non men per natura, che per arte era simulatore, e dissimulatore (sebbene nei privilegii a lui conceduti il chiama sempre duca d'Atri, e di Teramo) tirava in lungo, il dare del possesso della città; laonde il marchese ne stava con l'animo molto turbato, e ripieno di modo, ch'era tutto sdegno. Avendo di ciò alcuna notizia il conte di Carinola, che non meno del padre era astuto, e nei maneggi del mondo assai prattico, un giorno si accostò al marchese, ed entrato con lui a lunghi ragionamenti scopri la cagione, per la quale, era turbato, e mesto, cadendogli a proposito, gli disse i nomi dei baroni, che avevano animo di ribellarsi contro il Re Ferdinando, dandogli ad intendere, che avevano in loro favore (ma non era vero) la signoria di Venezia, la repubblica di Firenze, ed altri potentati d'Italia, e gli persuase dovervi anch'esso entrare, perchè al sicuro sarebbe tolte il regno a Ferdinando, e datolo a Ferdinando d'Angiò duca di Lorena, uno dei germi rimasti del primo Renato. Dal quale egli senza dubbio auria non solo ottenuta la città di Teramo, ma ne sarebbe accresciuto d'altro stato: dove per contrario, seguendo Egli la fazione Aragonese, si

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