I Bollettini di Guerra
“Spira ne' turbini
de l'alpe il tuo cuor di leone
incontro a' barbari e a' tiranni.”
La questione dei bollettini ufficiali della guerra è dibattuta da tutti. Sono troppo sommarii, si dice dagli uni; ce ne vogliono almeno due giornalieri, dicono altri, ad ore fisse, in modo che il Paese che ha mandato i suoi figli a combattere sia informato di quel che avviene; non basta pubblicare due bollettini e magari tre, si dice ancora, se questi bollettini non ragguagliano sulle condizioni dei combattimenti, sulle perdite ecc...
È una vecchia questione, che ha una origine delicatissima, e che appunto perciò dovrebbe esser lasciata risolvere completamente da chi ha grande responsabilità della guerra: dal Capo dello Stato Maggiore.
Del resto il pubblico merita le attenuanti. Anche Cavour nella guerra del 1859 aveva la stessa impazienza. Eppure era il primo ministro ed aveva oltre ai portafogli dell'interno e degli affari esteri, quello militare.
Cominciata la guerra il grande Tessitore, con tanti portafogli, credette di aver diritto di conoscer l'andamento della guerra e di darne sobrie notizie ai cittadini, che per mezzo dei loro deputati avevano votato i pieni poteri per la guerra contro l'Austria. Ma il comando militare non ne voleva sapere, per non informare il nemico e sopratutto per agire con libertà ed efficacia.
Da questo stato di cose risultò una lotta interna fra Cavour e il Comando.
«Spero che avrai buone notizie da comunicarmi — scriveva il Conte al generale La Marmora, l'ex ministro sostituito. — Mi raccomando a Petitti per averne spesso.»
Non ricevendone, il giorno 5, il Conte si dichiarava di essere «un poco in collera con lui e specialmente con Petitti» che non gli aveva scritto un rigo, per la qual cosa — aggiungeva — avrebbe scritto al generale Della Rocca, capo dello Stato Maggiore.
Il 7 di maggio Cavour ribatteva al La Marmora: «Ti prego di farmi mandare regolarmente notizie dell'esercitò. Il principe (di Carignano), come Reggente, ed io, come primo Ministro, abbiamo il diritto di essere informati regolarmente di ciò che avviene.»
Qualche bollettino, monco però, il Conte finì per averlo dal Della Rocca; il quale ben presto se ne dovette trovar pentito. Il 14 di maggio infatti il capo dello Stato Maggiore, con l'evidente consenso del Re, scrisse al Cavour che le pubblicazioni dei bollettini «potevano tornare di non poco danno al buon andamento della guerra» e che perciò voleva essere esonerato «per non pregiudicare le sorti dell'esercito e del paese dall'inviare nuovi bollettini».
Cavour si lamentò di tal procedere con parole amare in una sua lettera a La Marmora, nella quale diceva che in altre condizioni avrebbe pregato il Re di mandar via Della Rocca o avrebbe dato le dimissioni. Si rivolse allora all'imperatore Napoleone e dopo due lettere in cui Cavour confessava di essere «ogni giorno» assalito dai giornalisti anche stranieri, il maresciallo Vaillant gli rispondeva (per l'imperatore s'intende): «È stato redatto un primo piccolo bollettino; vi sarà comunicato quando l'imperatore l'avrà approvato. I nostri giornalisti sono fastidiosi: il mio parere è che non debbano ricevere nessuna notizia.»
La guerra del 1859 durò sino alla metà di luglio e i bollettini che si pubblicarono furono nè molti nè chiari.
Stando così le cose, il pubblico sia più paziente e meno esigente, e se oggi giungono rari, incompleti e poco chiari i comunicati del Gran Quartiere, auguriamoci che le operazioni vadano meravigliosamente e che quanto prima la Stefani possa comunicarci notizie di nostri grande vittorie.
E nell'attesa sia nel nostro cuore e sul nostro labbro una sola espressione: Viva l'Italia!
|