I teramani nella Grande Guerra.
Il conflitto raccontato nelle pagine del Corriere Abruzzese
Anno 1915


Il nostro nemico

           Tutti i giorni, ad ogni ora quasi, i soldati che sono al fronte, oltre a darci luminosa prova del loro eroismo e della stoica indifferenza con la quale sopportano gli immancabili disagi della campagna, ci offrono un esempio di serietà e di sobria e composta dignità che noi tutti indistintamente dovremmo sforzarci di imitare, poiché — sarebbe stolto il nasconderselo o cercare di tacerlo — a noi manca questa composta dignità e questa dignitosa fermezza.
           Dicendo noi indistintamente, intendiamo alludere a quanti per la loro occupazione, per le funzioni civili che rivestono, per quel certo ascendente morale che hanno verso gli altri dovrebbero sentire il bisogno e il dovere di partecipare a questa nostra grande guerra non semplicemente con le chiassose od esteriori manifestazioni di patriottismo — sempre ammirevoli, del resto — ma con qualche cosa che può essere più utile alla patria nostra.
           Non è con le chiacchiere nei caffè, nè con le volate retoriche fra i piccoli crocchi della piazza, nè con i discorsi pieni di calda tenerezza verso i nostri soldati che si assolve al dovere che incombe sopra di noi.
           La guerra è vicina, è al nostro confine, e pure è tanto lontana da noi. E nella nostra anima, sì, ma ancora non ci ha presi, non ci ha attanagliati come dentro un cerchio di fuoco e di delirio per far di noi soltanto degli esseri che non sanno volere, che non sanno sentire e che non sanno consumarsi che per quest'unico delirio bello e spaventoso: la guerra.
           E avviene perciò che dei disagi della nostra santa crociata di liberazione, dei pericoli che i nostri combattenti affrontano, degli ostacoli enormi da superare e delle incognite che davanti ad essi si presentano, noi spesso o quasi sempre non ci rendiamo conto alcuno.
           E impazienze, quindi, e domande ansiose, e curiosità malsane, seguite dai soliti commenti dei soliti bene informati: tutte le piccole miserie, insomma, alle quali assistiamo o delle quali siamo sovente partecipi quotidianamente, senza sapere, senza renderci menomamente conto del male che si compie.
           Il primo delitto che noi compiamo contro la patria e contro i nostri soldati è questo: il disprezzo del nemico.
           C'è chi ha messo in giro la voce — che molti corrispondenti di giornali hanno avuto il torto di raccogliere e di divulgare — che l'esercito austriaco è composto di straccioni, di vecchi estenuati e stanchi che a mala pena si reggono in piedi, di giovani imberbi e pallidi e macilenti, senza scarpe e senza pane; un esercito che non ama di meglio che di venire a nostro contatto non per combattere, ma per arrendersi.
           Si è arrivati persino a dire — e molti, molti disgraziatamente vi prestano fede — che le piccole guardie nemiche dell'avanguardia buttano via le armi e si arrendono senz'altro, solo che in mezzo a loro si getti dai nostri soldati qualche pagnotta o qualche scatoletta di carne!
           Se tutte queste storielle non fossero sorte e divulgate in buona fede, avremmo il diritto di sospettare e di credere che a farle nascere siano stati i nostri nemici per svalutare verso le altre nazioni e verso noi stessi il magnifico valore dei nostri soldati.
           La verità invece è questa: noi abbiamo di fronte un nemico non stremato, forte, agguerrito che ci attende desideroso di misurarsi con noi e che ci contrasterà il terreno palmo a palmo.
           Il Generale Cadorna, i cui bollettini sono d'una veridicità somma, non cerca mai, nei resoconti concisi ch'egli dà dei vari avvenimenti guerreschi nei diversi settori, di diminuire il valore del nemico; anzi, quasi sempre, è in essi un accenno leale al suo ardore combattivo.
           Non è, di fatti, col disprezzare il nemico che si vince. E noi vinceremo non perchè contro a noi è un nemico già stanco ed estenuato, ma perchè il valore, l'eroismo, la disciplina e lo spirito di combattività dei nostri soldati è tale da affidarci della vittoria.
           Se così non fosse, noi, noi che gridiamo osanna alla risorta Italia, noi che vogliamo dimostrare al mondo di che virtù e di che tempra sia la nostra razza, che diritto avremmo domani al rispetto ed alla ammirazione degli altri, se noi stessi, sin dallo inizio, svalutiamo così ogni nostro sacrificio ed ogni nostro eroismo col dar credito alle voci che parlano di un nemico vinto già prima di combattere?