I teramani nella Grande Guerra.
Il conflitto raccontato nelle pagine del Corriere Abruzzese
Anno 1915


Reduci dal fronte

           Da Loreto Aprutino
           Lunedì scorso tornò dal fronte orientale un nostro valoroso concittadino, Gino di Clemente, vero fiore di forza latina.
           Appena diciassettenne, si arruolò nel ... fucilieri, alterando il suo atto di nascita, e fu subito inviato sui campi dell'onore, dove la bella gioventù italica sta dando continue prove del suo valore.
           Le fatiche della guerra non alterarono il giovanile suo entusiasmo e la vita in trincea dopo le avanzate ardue e le pericolose scaramucce valse solo a rinfocolargli vieppiù l'amor purissimo di nostra terra che gli ferve in cuore.
           Ma... scopertasi dai suoi superiori l'alterazione da lui apportata al suo atto di nascita, fu rinviato a casa dopo un mese e mezzo di guerra, ad attendere con suo immenso dispiacere, che arrivi il giorno legale in cui senza intoppi potrà soddisfare il suo desiderio di tornare a misurarsi con l'eterno nemico d'Italia.
           Tornò incognitamente, come n'era partito, al paese nativo e solo pochi amici che si trovavano all'arrivo dell'automobile postale poterono fargli festosa accoglienza, onorata d'applausi con un brillante discorsetto dello studente Maurizio Barbara.
           Chi scrive ha avuto occasione di parlare col giovine reduce ed è rimasto ammirato della austerità del suo viso e della semplicità del suo dire.
           Domandotegli se fosse rimasto conturbato allo scoppio degli obici austriaci, di cui ha portato qualche frammento a ricordo, rispose serio e con l'aria più ingenua di questo mondo: - No, non ho avuto paura! - E nessuno degli ascoltatori ebbe dal suo viso l'impressione che le sue parole fossero iattanza o vanteria.
           Vecchio Abruzzo, che tu abbia sempre molti dei tuoi figli simili a Gino di Clemente, per il tuo vanto e per la gloria d'Italia! (W.)
           
           Da S. Omero
           È qui tornato il soldato Emidio Bizzani del … fanteria. È una caratteristica figura di contadino abruzzese, semplice, buono e forte.
           L'ho avvicinato ed egli mi ha parlato della nostra guerra e in particolare dell'avanzata delle truppe italiane oltre l'Isonzo. In questo settore, egli ha preso parte a parecchi combattimenti; è stato ferito alla gamba destra ed ha ancora la faccia ustionata per lo scoppio di una mina avvenuta mentre con altri compagni avanzava su territorio nemico. Ha partecipato pure a due attacchi alla baionetta ed in uno scontro, egli - da parte sua - fece quattro prigionieri.
           — Hai visto mai il Re? gli ho domandato.
           — Si, parecchie volte, ma un po' da lontano, tanto che da lui non ho potuto mai avere una sigaretta che invece hanno avuto spesso molti altri giovani.
           — Sono contenti i soldati di combattere?
           — Contentissimi. Tutti siamo entusiasti della guerra. Il nostro Colonnello Carbone è addirittura orgoglioso dei suoi soldati, specie dei richiamati, perchè nessuno di noi ha paura delle palle.
           Si combatte e si va sempre avanti con coraggio e con allegria. Quando riceviamo il comando di marciare, sentiamo il nostro sangue nero e arrabbiato salirci alla testa e ci gettiamo sui nemici come tante belve. Ci si avvelena il sangue, insomma - soggiunge con più forza - e se allora, mentre combatto, io fossi chiamato da mio fratello, non lo ascolterei per niente, ma continuerei ad ubbidire al comando. E' l'autorità italiana che ordina, e tutti obbediamo subito e bene.
           — Sul campo si ripensa mai ai genitori, al paese, agli amici?
           — Quando si combatte no; non si pensa che all'ordine delle autorità, al nemico che bisogna sconfiggere, alla Patria che bisogna difendere.
           — Bravo! Ma nelle ore di riposo....
           — Allora si; e quando si può, si scrive la lettera con la matita e sotto la tenda, ma sempre col fucile vicino.
           — Tirano bene gli austriaci?
           — Altro; ma noi combattiamo sempre col fianco voltato verso il nemico, si che è difficile che si venga ferito mortalmente.
           — E sono contenti gli austriaci quando vengono fatti prigionieri?
           — Molti si. Almeno da noi mangiano un pane ottimo.... Il loro pane è brutto, pessimo e duro come il cemento, e per romperlo ci vuole la mazza!
           Ho riso di compiacenza.
           — Proprio, ci vuole la mazza per spezzare il pane austriaco. Ciò che il nemico ha in abbondanza è il tabacco.
           — Sicché, si consolano e si cibano col fumo?
           — Signorsì.
           — E i soldati italiani maltrattano i prigionieri?
           — No, mai! A quattr'occhi forse forse ogni soldato farebbe i conti col nemico, ma nessuno vi si azzarda, nessuno rivolge la minima cattiva parola o il benché minimo atto di violenta contro i prigionieri. Questi sono gli ordini dei nostri comandanti. Chè se qualcuno si permettesse di sfogare contro i prigionieri, sarebbe punito dal codice militare. Ma vi ripeto che mai nessuno li ha maltrattati e nessuno li maltratta. Noi siamo più civili e non abbiamo bisogno fare come fa il nostro nemico.
           — Sono cattivi gli austriaci?
           — Cattivissimi. Armano perfino i ragazzi contro di noi.
           — Quando sarai guarito, tornerai al fronte?
           — Subito, e con grande gioia. Il colonnello mi vuole tanto bene perchè sono molto ubbidiente. Eh! bisogna ubbidire sempre alle autorità italiane!... E io vorrò combattere ancora, e tutta la forza che ho, ce la metto volontariamente.
           Al prode soldato ho pagato alcuni sigari.
           — Grazie - egli mi ha detto - col sigaro in bocca si combatte tanto bene.....
           Bravo, giovane soldato abruzzese, e che tutti i tuoi compagni abbiano il tuo entusiasmo e la tua intrepidezza, e che tutti i figli d'Italia vadano sempre avanti con la fede e con la disciplina che tu senti nel tuo animo semplice e ingenuo. (RUSTICUS)