I teramani nella Grande Guerra.
Il conflitto raccontato nelle pagine del Corriere Abruzzese
Anno 1915


Gli eroici figli d'Abruzzo

           Cadono nel rigoglio della giovinezza, baldi come cavalieri antichi, sorridenti alla Morte che li coglie nell'impeto dell'assalto, fiori purissimi della nostra vecchia stirpe!...
           Cadono combattendo, con l'anima tutta negli occhi, fissi nel grande Sogno che aveva arsa la loro adolescenza, e fatta un martirio l'attesa ultima della diana pugnace.
           La grande Madre eterna, sempre rinnovantesi nei secoli, la Madre Italia dalle molte vite, chiamò i figli alla lotta ed al pericolo ed eglino lasciarono gli studi diletti, il focolare domestico, lasciarono le madri e le spose, si spogliarono di ogni altro affetto, si liberarono come di un peso morto di ogni altra passione, e non vissero più che per il divino amore che li consumava — l'amore della loro Terra sofferente, l'amore della loro Patria piagata, l'amore della loro Gente iniquamente divisa —, e non conobbero più riposi, e non seppero mai stanchezze, e non vollero bere più a nessun'altra gioia, assetati solo di sacrificio.
           Marciano cantando. Intorno gli agguati insidiosi della Morte. Lontano, in una casa tanto amata, riapparsa ogni notte nei sonni ristoratori della caserma, una donna piangente vegliava pregando per il figlio in pericolo; o tenere mani di bimbi innocenti offrivano rose alla buona Madonna per proteggere il padre spiato dall'odio nemico. Ed eglino si fermano forse un poco presso una vecchia; sul cui viso stanco vedono le sembianze della madre lontana, e le baciano le mani. O si tolgono sulle braccia, e in alto lo levano, e se lo stringono al cuore, un bimbo sconosciuto, sulla cui rosea bocca pare fiorire il sorriso del bimbo nato dal loro amore, e lasciato là, oltre i monti, oltre i mari, presso la giovane sposa, sola.
           Un attimo brevissimo. Un'ombra umida di lagrime sugli occhi fieri. Poi il clangore delle trombe, il rullare dei tamburi, i canti di guerra. Avanti di nuovo. Avanti, verso la morte, verso la gloria. Avanti, figli d'Italia, dolce fiera gente di Abruzzo, avanti contro il nemico implacabile, avanti per la Patria e per il Re!...
           E le schiere ruinano sul nemico, tremende. Lotta di giganti. Ore ed ore di fuoco ininterrotto. Assalti sanguinosi alla baionetta. E poi, alto, sublime, più forte del vento alpino, il grido della vittoria.
           Eglino, i giovani soldati abruzzesi cadono così, nella mischia immane, primi sempre fra tutti: eccitatori, consiglieri, guide; fulgido esempio di eroismo; immacolato simbolo di ogni virtù. Cadono e morendo entrano nell'immortalità.
           Non piangiamo sulla loro sorte. La guerra è la guerra; ed insaziabili sono le sue fauci. Ma i risultati che le armi italiane hanno ottenuto in questo primo aspro periodo della guerra sono così grandi che ben possiamo andare superbi del nostro esercito e trarre auspici sicuri dell' immancabile completa vittoria.
           Non inutile è dunque il vostro sacrificio, o giovani eroi. Gli scellerati confini imposti all'Italia sono oramai annullati. Le porte di casa nostra sono chiuse al nemico. La tanto minacciata invasione austriaca è oramai impossibile. Le posizioni conquistate salvano l'Italia per sempre dalla barbarie alemanna. E noi procediamo sempre avanti. Lentamente ma sicuramente. Oh! si, il nemico è agguerrito; ha ancora il vantaggio del terreno; è roso dall'odio bestiale contro di noi; ma l'Italia vincerà.
           La vittoria è certa. Non è più un desiderio dell'anima nostra patriottica; non è più aspirazione irrequieta d'irredentismo; non è più gioco di probabilità: è invece certezza sicura, è un fatto oramai che non può più essere messo in dubbio.
           E la vittoria la dobbiamo al vostro sangue, o pionieri, che siete caduti sulle prime zolle redente. La dobbiamo a voi, o eroici fratelli, che alla patria avete dato sorridenti la vostra fiorente giovinezza. La dobbiamo al vostro sacrificio e a quello — ahi! più amaro — delle vostre famiglie delle povere madri e delle povere spose, trafitte dalla spada rovente della disperazione.
           Benedette in eterno, o donne! Benedetto sia il vostro santo dolore! Voi sul rogo ardente della guerra avete portato, con anima umile, con mani pure, il vostro più dolce bene. Al rogo ardente della guerra avete dato, senza nulla chiedere, tutta l'anima vostra. Ed ora non altro domandate che di lasciarvi piangere in silenzio.
           A voi, a tutte le famiglie dei soldati caduti l'omaggio commosso riverente dei redattori del Corriere che davanti alle case fasciate di dolore, ma illuminate dalla gloria si chinano religiosamente.