Difendiamo dal freddo i nostri soldati
L'umana solidarietà ha finora dedicato tutte le sue energie a difendere, a proteggere le vecchie mamme, i babbi inabili, le mogli, i bimbi dei nostri soldati. È in gara magnifica superba, tutta la nazione ha trovato in sè tali tesori di bontà e d'altruismo da renderci una volta tanto e giustamente orgogliosi. Dalle più grandi città al paesello più umile l'opera dell'assistenza civile ha trionfato e trionfa in tutta la sua grande e santa umanità, dispensiera di pane e di serenità nelle case dalle quali sono partiti i nostri soldati.
Perché i nostri soldati erano partiti lasciando vecchi genitori, spose giovani, adorate, culle già benedette dal respiro di un esserino fragile e roseo, culle attendenti trepidanti. Bisognava ai nostri eroi che partivano pieni di fede e vibranti d'entusiasmo dar salda l'assicurazione che i loro cari non sarebbero stati abbandonati.
E le fate buone scesero nelle umili case. Ai vecchi non mancò la devota assistenza filiale; e le giovani spose trovarono cuori di sorelle, e i bimbi provvide cure materne e le culle aspettanti lini candidi e trine.
Questo hanno saputo i nostri soldati e, non più trepidi per la sorte, degli esseri deboli che avevano abbandonati, sono diventati gli eroi che sappiamo, i soldati superbi di cui tutti hanno magnificato le gesta. E ogni giorno, ogni ora che passa segna un nuovo trionfo, una nuova conquista, un nuovo progresso.
E il sogno divino e grande prosegue il suo cammino verso la meta ultima. Cammino di gloria, ma vermiglio di sangue. E lo sanno i nostri soldati che non tentennano lassù. Rotti ad ogni disagio, votati ad ogni sacrificio, pronti a tutto, a morire, fermi però nella fede dei grandi destini della patria. E così fin tanto che il diadema immacolato che recinge la patria non sfolgorerà tutto delle fiamme delle nostre bandiere.
Ma prima di quel giorno, un altro nemico più terribile di quello che i nostri hanno spesso rotto in fuga e decimato già s'appiatta fra le asperità dei monti nevosi: il freddo invernale. Ne sono già nunzi i primi brividi autunnali.
Noi abituati alle carezze dei nostri climi dolcissimi e che abbiamo nel ricordo le ore liete delle serate invernali trascorse, sotto la luce intima e calda della lampada appesa al soffitto, nel tepore delle nostre stanze da pranzo, mal riusciremo a sapere che cosa sia una notte d'inverno sulle alte vallate del Trentino, del Cadore e della Carnia sotto la fredda luce delle stelle.
Pensiamo soltanto che mentre da noi l'autunno non è soltanto un'elegia di foglie arrossate che si distaccano e cadono e muoiono ma è una carezza blanda di sensazioni dolcissime, lassù l'autunno vuol dire raffica e tempeste incessanti di neve.
Pensiamo che oggi stesso, mentre nelle giornate affocate la estate s'indugia ancora vittoriosa e persistente, lassù a 4000 metri sul livello del mare le cime puntate del serto regale d'Italia sono rivestite sempiternamente del candido immacolato manto nevoso. E che cosa sarà quando l'inverno sarà giunto ?
Bisogna averle vissute le notti nell'alta montagna, quando la tormenta ne flagella i fianchi, le punte quando tutto illividisce lassù e tutto si raffredda dintorno per intenderne la tragica angoscia.
Eppure lassù noi abbiamo i nostri fratelli, hanno le mamme i figli del cuore, le giovani spose i loro mariti. E loro va incontro il nemico terribile: l'inverno.
Non quest'anno, nelle fredde serate di dicembre o di gennaio, essi saranno nel dolce tepore delle loro case, nel dolce santo tepore degli affetti famigliari. E a Natale essi, forse, saranno ancora lassù sulla montagna percossa rabbiosamente dalle bufere di neve, con l'acuta nostalgia, nel cuore oppresso della festa intima e buona che gli anni passati radunava, nella notte tradizionale, attorno alla tavola imbandita, la famiglia diletta, ora così lontana.
Ma la sofferenza del cuore pure così profonda sarà nulla di fronte a quella delle carni e delle membra. Oh! il morso del freddo terribile come sarà crudele e fatale ai nostri cari perduti lassù, costretti all'immobilità dalla suprema necessità di certi servizi, se noi non saremo riusciti ad escogitare tutti i mezzi per difenderli dal nemico implacabile!
Finora, noi abbiamo dirizzato tutti i nostri sforzi a difendere, a proteggere le famiglie che i nostri soldati hanno lasciato nei loro paesi, nelle loro città, per dare ai nostri soldati combattenti per la grandezza e la gloria d'Italia la necessaria serenità del cuore; oggi il nostro compito si allarga, si fa più complesso.
Pur continuando a sorreggere i più bisognosi lasciati nelle casette dalle quali la guerra ha allontanato il loro capo, dobbiamo ormai rivolgere pure tutte le nostre cure, tutte le energie del nostro cuore, tutte le attività del nostro pensiero alla difesa dei nostri soldati dagli agguati, dalle insidie di un nemico contro cui non bastano il valore e l'eroismo.
Occorre difendere le care membra dei soldati d'Italia dagli assalti del formidabile nemico, occorre rivestirle di quegli indumenti che avranno la virtù di non lasciar passare il freddo tenace, implacabile o per lo meno attenuare l'intensità.
Dobbiamo salvare dal pericolo dell'intirizzamento che talvolta diventa cancrena quelle mani che nella stretta salda è la spada che dovrà trovare il cuore del nemico, quelle mani che, ancora come una volta, dovranno posarsi, carezzose su teste ricciute di bimbi, su bionde o corvine treccie femminile, sull'argento di venerate e sacre canizie.
E in tutta l'Italia l'opera della lana pei soldati, la febbrile, instancabile attività delle nostre donne nella preparazione degli indumenti che chiameremo di difesa non abbia tregua. Madri, spose, sorelle tutte all'opera per i figli pei mariti, pei fratelli. E quelli che partendo per il fronte non hanno qui lasciato nessuno abbiano anch'essi tenerezze di sorelle, provvide premure materne.
A nessuno, a nessuno dei soldati d'Italia manchi la difesa che noi invochiamo per essi. Essi tutto hanno sacrificato: agi e famiglia: domani potranno sacrificare la vita e seguire la teoria dei fratelli che hanno già del loro sangue arrossato le zolle che stiamo riconquistando alla patria nostra.
Ciascuno di noi dia ciò che può: non solo il «quod superest», ma anche ciò che può costarci qualche sacrificio. Chi non potrà por mano al portafoglio dia ore di lavoro. Nessuno manchi alla mobilitazione del cuore. I vili soli disertano nelle ore gravi e solenni.
Com'essi, i nostri soldati difendono la patria nostra, con tutto l'ardore dell'anima nostra, con tutte le forze fattive del nostro essere accingiamoci a difendere i nostri cari dall'unico nemico che può farli tremare: il freddo.
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