I Prodi. Ciò che scrive L. Iavicoli del serg. Vincenzo Iachini
Quella sera il capitano, un pò forse perchè avevo dimostrato del coraggio, un pò forse perchè aveva fiducia in me, volle affidarmi il comando di un plotone. Mi si agghiacciò il sangue sulle prime; ma poi feci appello al mio sangue freddo, ai miei sentimenti di fervente patriota, e mi feci animo, mi sentii orgoglioso della fiducia che il mio capitano riponeva in me, compresi tutta l'importanza di quanto dovevo fare e mi sentii pari all'impresa.
Diedi gli ordini ai bravi e valorosi soldati, che quasi si sentivano felici di essere condotti da me, feci innastare le baionette ed attesi. Un denso nuvolone quasi a voler proteggere la mia azione andò a velare i raggi della luna; solo una stella continuò a splendere «come pupilla aperta». Mi parve un buon indizio, un ottimo auspicio.
«Iavicoli, avanti!» Era la voce dal capitano. Strinsi nella destra il fucile, varcai, strisciando come un serpe, la trincea, e mi fermai per aspettare i miei soldati; ma essi mi avevano seguito. Un minuto ancora per dare un'ultima occhiata al trincerone, e gridai con quanto fiato avevo nei polmoni: «Savoia!» slanciandomi avanti. Un solo grido seguì al mio: «Savoia!» Sotto un grandinare impetuoso di piombo nemico arrivammo in un lampo al trincerone. Con lo stesso impeto vidi sbucare alla mia destra un secondo plotone. Provai un senso di sgomento: lo credetti, alle prime, nemico, ma il grido, che poco fa aveva animato di nobile entusiasmo i miei soldati, me lo fece riconoscere: era nostro.
Il panico, lo sgomento che già io ero riuscito a diffondere nei pochi nemici, crebbe a dismisura al nuovo attacco e una ventina di mani, qualcuna stringendo un fazzoletto bianco, si protesero in alto e qualche voce paurosa implorava: buoni Italiani! Il nemico si arrendeva: l'attacco era riuscito a meraviglia.
Sprezzante del pericolo e di tutte le pallottole che mi sfioravano da ogni parte, mentre alcuni soldati custodivano i prigionieri, ed altri appostati continuavano il fuoco, volli conoscere la trincea, e incominciai a percorrerla in lungo.
Non avevo fatto dieci passi, che mi sento chiamare: «Signor Tenente! Ho un gran dolore alla coscia, son ferito!» Mi accostai: era un soldato che stringeva fra le mani una baionetta ancora intrisa di sangue. «Sono soldato, gli dissi, ed egli per tutta risposta, indicandomi un grosso cadavere che giaceva al suoi piedi: «Ecco, vedi io l'ho ammazzato!» Rimasi compreso di ammirazione per il soldato che gioiva della sua impresa. Domandai: «Dove sei ferito; chi sei; come ti chiami?» Ed egli: «Son ferito alla gamba, ma la ferita è leggiera, mi dà dolore, ma il mio plotone è qui e io resto con esso. Mentre ci siamo precipitati all'assalto, una scheggia di granata mi ha ferito; ma non ho abbandonato la testa del mio plotone; e qui, in questo punto, ho trovato la più bella ricompensa per il mio sforzo; ecco l'ho ammazzato io, mentre mi spianava il fucile contro il petto!»
Gli strappai i pantaloni, la coscia era tutta intrisa di sangue, ma la ferita non era grave. Glie la fasciai. Ancora compreso di ammirazione per il soldato, volli sapere il suo nome: «Sono il sergente Iachini». Ed io: «Iachini! ma questo nome non mi è nuovo. Ti chiami forse Vincenzo?»
«Si Vincenzo».
«Allora noi ci conosciamo: sei della Provincia di Teramo non è vero? Io sono Iavicoli».
«Iavicoli, il mio compagno di collegio?» Mi stese la mano al collo, mi coprì il viso di baci: era il mio compagno preferito, e non lo rivedevo da otto anni!.. che incontro, lì, sul campo di battaglia, mentre tutti e due mettevamo a rischio la nostra esistenza per l'istesso ideale con lo stesso entusiasmo!
Gli medicai alla meglio la ferita e gli dissi: «Corri, corri al posto di medicazione: ti accompagnerei io, ma come faccio a lasciare i miei uomini?» e mi interruppi. Pattuglie nemiche si avanzano; il dovere mi chiamava, e corsi al mio posto. Quando il nemico nuovamente fu messo in fuga, cercai Iachini, ma non c'era più. Alcuni soldati mi dissero che si era recato al posto di medicazione.
«Chi l'ha accompagnato?» domandai a un soldato del suo plotone.
«Un altro» mi rispose, e poi soggiunse «Ma era tuo amico? Se sapessi, se sapessi! L'avevo creduto pazzo, si, impazzito addirittura, ed era coraggio che l'animava, vero coraggio. Con lui, si che ci sentivamo sicuri, con lui si che ci sentivamo forti, coraggiosi. Ma è nulla quello che ha fatto, lo avresti dovuto vedere gli altri giorni; dove era il pericolo, era lui, e sempre sorridente».
LUIGI IAVICOLI
Allievo ufficiale
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