I teramani nella Grande Guerra.
Il conflitto raccontato nelle pagine del Corriere Abruzzese
Anno 1915


Per la Croce Rossa

           I.
           
           Nuda la tomba di mio padre, senza
           una lampada, senza i fior dei morti
           in questo dì. Non biasimate, o genti,
           un pio voler, l'inconsueta assenza.
           
           La terra è tutta fiamme, arde di stragi
           non mai vedute. In ogni solco un rivo
           scorre di sangue, e palme per la pace
           non porta ancora il sempreverde ulivo.
           
           Gemono i morti, chiamano. Nessuno
           giunge dei figli ne la bruna terra,
           e chi vi giunge, sanguina per tante
           ferite avute ne la santa guerra.
           
           L'eterna pace a lor dona, o Signore,
           e splenda lor la luce che non muore.

           
           
           II.
           
           Candidi gioghi alpini e l'ubertose
           piogge, curve a specchiarsi nel sanguigno
           fiume, teatro di superbe gesta,
           son loro patria e sepoltura. Rose
           
           non chiedon, premio all'audace ardore,
           nè chiedon pompe i morti, che pur sanno
           l'offerta in vanità. Mormoran: «Date,
           se mai vi colga più pensoso affanno,
           
           Tutto a chi, leso, straziato il corpo
           per la gran Madre, Italia, al campo o in sale
           provvide al duolo, aspetta, e, acceso d'odio,
           risogna di morir per l'Ideale.. »
           
           L'eterna pace a lor dona, o Signore,
           e splenda lor la luce che non muore.

           
           
           III.
           
           Risognano le pugne. Avanti, in atto,
           e, come a volo, su l'aperto piano,
           ove il Poeta, alma sdegnosa, ride
           a la misera offesa. Ecco, all'assalto
           
           ultimo, verso la Fedel di Roma!
           Ci freme in petto il voto secolare
           d'un popolo, che infranto il duro giogo,
           sa che la vita di sua vita è il mare.
           
           Avanti, ancora! E le fiammelle in croce,
           alimentate da l'amor più santo,
           ardono agli occhi teneri di gioia:
           anche gli eroi hanno a le ciglia il pianto...
           
           L'eterna pace lor dona, o signore,
           e splenda lor la luce che non muore.

           
           
           IV.
           
           Padre, m'odi? Lassù, tra i soldatini
           d'Italia, al piombo vigile nemico,
           che cadono risorgono rivivono
           co 'l cielo della patria nei divini
           
           occhi e la fiamma dei tramonti in core,
           tiene il suo posto il terzo mio fratello.
           Insonni le sue notti: anche le nostre
           trepide, eterne. Eppure è sacro, è bello
           
           questo timor, quest'ansia. Oh triste, triste
           chi non la prova o non la proverà!
           Si vive, oggi: domani, il ciel su quelli
           che non vissero mai, si oscurerà.
           
           La pace eterna a lor dona o signore,
           e splenda lor la luce che non muore.

           
           Penne, 2 novembre 1915.
           GIOVANNI DE CAESARIS
           
           
           Per onorare i propri defunti e per ricordarli durevolmente i buoni sanno che cosa bisogna fare.
           Il nostro caro e simpatico amico Giovanni de Caesaris, letterato e scrittore di merito, era solito, nella ricorrenza della festa del morti, di fare ornare la tomba di famiglia con fiori e ceri. Quest'anno ha pensato che meglio avrebbe potuto onorare e ricordare il padre suo, iscrivendolo socio perpetuo della Croce Rossa.