I teramani nella Grande Guerra.
Il conflitto raccontato dalle pagine del Corriere Abruzzese
Anno 1916


Canzoni d'alpini

           
           Le sere che si ritorna dal servizio di avamposti, e la colonna si snoda giù per la mulattiera gelata, quando su le montagne nere la luna pennelleggia un diadema di ghiaccio, un'alpino intona, a mezzavoce, la canzone della nostalgia:
           
           Quando saremo
           le nostre case
           la nostra madre
           ci abbraccerà.

           
           Il verso rozzo, il ritmo facile seduce. Gli altri seguono il coro. Battono i chiodi sul gelo. In fondo alla valle palpita il richiamo d'un eliografo. Sulle montagne palpitano le stelle:
           
           Dove sei stato,
           bravo figliuolo,
           per tanti mesi
           a fare il soldà.

           
           Quanti mesi ? Non si contano più!
           
           Io sono stato
           nell'Alto Trentino
           dove la neve
           fiocca l'està.

           
           La canzone della nostalgia batte vie meno malinconiche. Il motivo della mamma che aspetta è superato: il ricordo delle tormente, delle vette aspre conquistate al nemico, delle terribili intemperie del monte, rifiorisce. L'orgoglio della penna al vento, dell'aquila sul cappello, della propria guerra d'altezza, si afferma.
           Qualche sera, i signori ufficiali sono sentimentali. Forse il tenente delle mitragliatrici ha messo un po' di profumo sul suo fazzoletaccio scuro; forse la posta ha portato una busta azzurra all'aiutante maggiore... chi sa? Certo i discorsi rievocano imagini galeotte. I portafogli si aprono, ne escono fotografie d'ogni formato; dalle tasche fanno capolino fazzoletti tricolori. Fantasie d'amiche bionde s'accendono, colloqui si rievocano, dolci nomi si rimormorano in sordina. Finché il più sospiroso non si vede troncate le sue confidenze dal più scettico così:
           — Ti tradirà, adesso, con qualche riformato.
           Ma il nostro alpino nei suoi canti non rievoca mai l'amorosa, o se si, la rievoca... morta, condotta al camposanto, come nella famosa cantilena:
           
           Trenta mesi che faccio il soldato
           'na letterina mi vedo arrivar.

           
           Che cosa contiene la letterina? Contiene la notizia che l'amorosa è ammalata. Il soldato domanda al signor capitano che lo mandi in licenza, il signor capitano gliela concede, purché ritorni da bravo soldato.
           
           Glie lo giuro signor capitano,
           che ritorno da bravo soldà.

           
           Ma quando è giunto vicino al paese, ecco che sente suonare le campane. La sua amorosa è morta. Passano i becchini con la bara.
           La canzoncina diviene deliziosamente macabra.
           
           Portantina, che porta quel morto,
           per piacere fermatevi un po'.
           Se da viva non t'ho mai baciata
           or ch'è morta la voglio baciar.

           
           Ma stasera - dice un alpino - non canteremo la canzone dell'innamorata morta. La notte è epica. Si sente rombare il cannone. L'eliografo chiama con frequenza.
           Se l'alpino fosse un poeta, paragonerebbe le stelle ad una lucida chiodatura sulle scarpe della notte. E il canto che è orgoglio della penna sul cappello, del trofeo con l'aquila, della propria guerra d'altezza, suona ora più chiaro, chè le prime linee sono più lontane.
           
           Sul cappello portiamo la penna
           e il trofeo di Casa Savoia:
           li portiamo con fede e con gioia
           per Vittorio ch'è il nostro Sovran.
           
           E tu Austria, se sei la più forte,
           fatti avanti se hai del coraggio:
           se qualcuno ti lascia il passaggio
           noi baldi alpini fermarti saprem.
           
           Al comando dei nostri ufficiali
           caricheremo il fucile a mitraglia:
           se per caso un colpo si sbaglia
           la baionetta saprem inastar.

           
           Rozzo eloquio, parole accozzate per lo sforzo di qualche caporale imaginoso, che mutano aspetto e ritmo emigrando di classe, da battaglione a battaglione: ma intense d'una gioconda vita. Pochi motivi: l'alpino, il nemico da vincere, la baionetta. La baionetta è il toccasana, la panacea. Quando l'alpino non sa più come cavarsela da un brutto impiccio, ricorre alla baionetta.
           Il tenente era fuori di pattuglia con pochi uomini: cinque o sei. Li aveva sparsi per un boschetto ove temeva l'insidia; ed ecco, improvviso, da venti metri il fuoco nemico. Tutti a terra: gli occhi si aguzzano a cercar l'avversario per scovarlo, per valutarne la forza. Niente. Le pallottole fischiano, minacciano, ma non si vede niente. È la cosa più esasperante del combattimento, questa: quando ci si sente di fronte, sui fianchi, la minaccia nemica e non si riesce a stanarla, a individuarla nei suoi appostamenti! Allora l'attendente del tenente, un abruzzese, si volge al più vicino:
           — Embè, andiamo alla baionetta!
           E si slanciano, fuor del riparo in due... ma il nemico teme chi sa che tranello, fugge e il boschetto è sgombro, e la piccola pattuglia è salva. I cinque soldati intoneranno con ragione, al ritorno, la canzoncina:
           
           E noi alpini
           siam coraggiosi,
           sempre avanti
           e mai morir!

           
           (M.)