Il saluto dei nostri soldati
Egregio Direttore, anche il vostro simpatico Corriere, come i grandi giornali quotidiani, è venuto a salutare queste nuove terre del Carso, testé eroicamente conquistate dalla nostra valorosissima fanteria.
Avevamo sulla nostra fronte i nemici più forti e più accaniti: gli Ungheresi; ma dopo quasi un anno di trincea, trascorso in continui, sanguinosi combattimenti, il terribile avversario è stato scacciato e costretto a fuggire! Bersagliato senza tregua dai nostri fucilieri, scosso fortemente dalla nostra artiglieria, davvero insuperabile, il nemico ha dovuto cedere, e ritirarsi nella sua terza linea. Il mio Battaglione ha avuto l'onore di entrare prima in Doberdò, e da quel paesello abbiamo guardato nella valle sottostante, la strada che conduce a Trieste!
Eravamo tutti commossi ed entusiasti, e certamente non dimenticheremo mai la gloriosa giornata del 10 agosto 1916!
Ancora un'altra impresa si richiedeva al mio Battaglione, e ad essa è riuscita brillantemente. L'alba meravigliosa del giorno 12 ha visto il Battaglione arrampicarsi sulle alture del Debeli e conquistarle saldamente, mettendo in rotta completa il nemico che, nella fuga disastrosa, lasciò nelle nostre mani grandissima quantità di munizioni ed enorme materiale.
Sono lieto di dover dichiarare che i nostri cari abruzzesi si comportano benissimo e sono degni dei migliori elogi. Nella mia compagnia ne ho, fortunatamente parecchi, e qualcuno, distintosi per atti di eroismo, è stato già da me proposto per ricompensa al valore.
Mi auguro di potervi presto parlare di nuove conquiste; oramai il nostro soldato guarda avanti e sogna altre vittorie.
Mille saluti alla mia famiglia, ai miei parenti ed agli amici tutti.
Credetemi cordialmente vostro aff.mo amico
CONSALVO TITO, capitano, di Teramo.
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Confuso e occupato nel fragore delle battaglie della nostra epopea nazionale, non sempre ho tempo e modo di scrivere. Oggi ho un po' di riposo perché la battaglia ha una relativa sosta, e con orgoglio ti fo sapere che sono a Gorizia e che da qui partecipo anch'io alle imprese storiche del nostro risorgimento.
Si sta bene. Non ci difettano nè le cure e l'amore dei superiori, nè le diverse e molteplici competenze. Quando il rancio ci giunge, si ha ogni ben di Dio: pane, carne, pasta, limoni, cioccolata, caffè, vino, marsala. E si lavora, e sempre con entusiasmo, con coraggio, con fede. Si scherza con le granate e con le pallottole come se esse fossero di neve o se noi fossimo intangibili. Eppure ci fischiano di sopra e di intorno, eppure ci cadono a 10 metri di distanza. Si è abituati a tutto e tutto si sopporta per l'Italia, per la civiltà nostra, per la libertà e il benessere delle future generazioni.
Gorizia è una splendida città; a ragione è stata chiamata la città-giardino. Viale, piantagioni, fiori sono da per tutto. Invano l'Austria ne aveva tentata la snazionalizzazione. Invero scuole e società slave tentavano di compiere quest'opera insieme con l'azione partigiana e cieca del governo. L'anima della popolazione era rimasta sempre italiana e nulla importava se le vie cambiavano nome e Verdi e Dante venivano cancellati dalle targhette di maiolica. Oggi, del resto, i nostri soldati hanno risposto a simili provvedimenti e al magnifico «Corso Francesco Giuseppe» hanno già imposto l'applaudito e venerato nome di Vittorio Emanuele III.
Come siano ridotte le colline che circondano e sovrastano Gorizia, sarebbe inutile ripeterlo. Il Podgora, il Grafenberg, il Sabotino, il Peuma sono terribilmente bruciati e foracchiati. Io credo che ogni loro metro quadrato abbia avuto la sua brava granata e sia cosparso e imbevuto del sangue di parecchi soldati.
Gorizia invece non ha sofferto molto. Poche case sono rovinate.
Il nemico però continua a sfogare la sua rabbia sulla città strappata ai suoi artigli; ma lo si saprà allontanare ancora di più, non dubitare. Così dicasi del famoso Castello medioevale che il nemico fa continuamente bersaglio dei suoi cannoni. La pianura, poi, fa tuttora sfoggio di una lussureggiante vegetazione. Attraverso la pianura gli austriaci si ritirarono in tutta fretta e ivi si ebbe qualche scaramuccia di retroguardie (10 soldati per compagnia), lasciate per proteggere comunque la fuga e per dar modo al grosso dell'esercito di raggiungere la fortificatissima linea delle alture di S. Marco, quote 171,95,98, Vertoida, San Grado ecc. sulla quale linea il nemico resiste con accanimento.
Ma non ostante che la battaglia infuri a poca distanza da Gorizia, la città va man mano riprendendo della sua vita civile. La popolazione dal sottosuolo torna, un pò alla volta, alla superficie ed è di giorno in giorno più numerosa. Si riaprono timidamente alcuni caffè, qualche spaccio e qualche negozio e i soldati vi si soffermano in frotte per guardare, comperare e per ristorarsi.
Dal Palazzo Municipale, intanto, sventola gloriosamente il tricolore italiano! Ai goriziani ciò sembra un sogno!
La bandiera è stata regalata alla città da un consigliere comunale di Trieste, ed è stata festeggiata, baciata, bagnata di lagrime da centinaia di fanciulle di Gorizia riunite in una sala del bel Palazzo Municipale.
La sua ombra oggi protegge gli italiani redenti facendo loro vivere una novella vita, e il suo drappo si allunga e accenna simbolicamente verso sud, come se ai soldati di Cadorna esso volesse indicare una meta: Trieste!
PASQUALE RITUCCI, soldato, di Città S. Angelo.
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Invio a Lei e alla sua gentile signora i miei migliori saluti da queste... terribili altezze! (R. Vivi augurii!)
SCARZELLI PIETRO, sottotenente, di Teramo.
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La vittoria di Gorizia fu annunziata al fronte Trentino a mezzo di nostri areoplani, che da quote altissime gettarono manifestini verdi con questo nobile proclama:
Soldati: — Sulle contrastate rive dell'Isonzo le linee nemiche sono sfondate dal Monte Sabotino sin presso al mare. Il Sabotino, Oslavia, Peuma, il Podgora ed il S. Michele sono nelle nostre mani. Abbiamo preso 8000 prigionieri, 200 ufficiali, fra cui 20 ufficiali superiori, un comandante di reggimento col suo stato maggiore, 11 cannoni, 200 mitragliatrici, immenso bottino. Altri prigionieri affluiscono. La vittoria finale si avvicina. Il nemico superbo che pensò di invadere e far scempio delle nostre terre è cacciato e battuto in casa sua. Qui noi lo teniamo inchiodato sulle rocce, da cui invano guarda verso le belle desiderate pianure nostre, ed aspettiamo il momento di snidarlo dai suoi ripari, donde ci preclude ancora la via di Trento. - Soldati: Per aiutare i nostri compagni che vincono sull'Isonzo molestiamo il nemico, non diamogli tregua, fino al momento del colpo finale: facciamo che non un uomo solo possa esser tolto di fronte a noi per correre ai ripari sull'Isonzo. - Soldati: In alto i cuori. Mostriamo che siamo degni dei nostri gloriosi alleati. Il paese dietro di noi trepidante e commosso segue le nostre fatiche, soffre e giubila con noi, sempre avanti dunque, per la pace vittoriosa, per l'Italia nostra, pel nostro Re, pel nostro onore, per le nostre famiglie!
POMPEI GIUSEPPE, sergente maggiore, di Torricella Sicura.
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Con i connotati ancora intatti cordialmente ti saluto.
ZINA prof. GIUSEPPE, maggiore degli alpini.
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Trovomi in questo ospedale ammalato. (R. Le auguro sollecita guarigione!) La prego di volermi inviare qui il suo Corriere.
Ha ricevuto il vaglia? (R. Ricevuto. Grazie e saluti.)
Affettuosi ossequi.
ROMANI OSCAR, ufficiale, di Teramo.
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Ringraziando, invio miei più affettuosi saluti a Lei e agli amici. Quando potremo riabbracciarci? A quando la nostra vittoria completa che ci riconduca alle nostre case, alle fecondi sfere di pace?
Saluti a tutti gli amici di redazione
NANNI NINO, sergente, di Teramo.
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Sto bene. Mi saluti la famiglia e tutti gli amici.
Si abbia una calda stretta di mano dal sempre suo
SQUARCETTA VINCENZO, caporal magg.. di Teramo, prigioniero in Austria.
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In questo momento è giunta al campo una gran bella notizia, che ci fa tutti fremere di entusiasmo: la presa di Gorizia. Come siamo contenti! Finalmente dopo tanti e tanti sacrificii l'Italia vede sventolare la sua bandiera sopra Gorizia italiana. Speriamo che venga presto la vittoria finale!
Abbiatevi, sig. Direttore, i miei più distinti saluti. Ossequio parenti e amici.
Io ricevo puntualmente il giornale.
DI GIANDOMENICO ABRAMO, caporale, di Teramo.
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Con l'anima traboccante di gioia per le nostre vittorie, invio caldi baci ai miei cari. Saluto cordialmente lei, sig. Direttore.
INNAMORATI MENOTTI, Caporale Bersaglieri, di Castellamare Adriatico.
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Nel momento che noi si avanza scacciando da per tutto il Fronte l'abborrito austriaco, il più sincero saluto a lei, agli amici miei cari.
Spero che alla fine dell'opera vittoriosa del nostro esercito poter tornare a brindare con amici e parenti del mio caro Abruzzo. Sempre Avanti!
FILIPPINI ROMEO, soldato, di Atri.
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Noi sottoscritti alpini abruzzesi, che da 14 mesi combattiamo nelle Alpi Dolomiti, mandiamo i più fervidi saluti alle fidanzate, agli amici, assicurandoli del nostro ottimo stato di salute.
Uno speciale saluto a Lei, sig. Direttore.
OLIVASTRI ALBERTO, sergente, di Treglio (Chieti).
RICCIONI DONATO, caporale, di Fano Adriano.
D'EUGENIO ALFONSO, soldato, di Corropoli.
SARGENTONE MARINO, id., di Notaresco.
CROGNALE SANTINO, id., di Teramo.
ANDRIETTA ANDREA, id., di Notaresco.
SECCIA GIOVANNI, capor. maggiore, di Chieti.
LIBERATORE ERNESTO, soldato, di Preturo.
Pubblicheremo nel prossimo numero le altre lettere di soldati pervenuteci di questi giorni.
Raccomandiamo ai soldati morosi di mettersi in regola coi pagamenti, chè altrimenti, a scanso di maggiori nostre spese, sospenderemo l'invio del giornale.
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