I teramani nella Grande Guerra.
Il conflitto raccontato dalle pagine del Corriere Abruzzese
Anno 1916


E così tu ci parli, o Gran Sasso.... Ai prodi figli d'Abruzzo

           
           C'è una voce, una voce lontana che ci risuona spesso nell'anima, portandoci la mesta melodia dei canti che furono canti d'infanzia, canti di giovinezza fuggita. E con quella voce mille ricordi ci giungono; mille visioni ricompaiono come se venissero dal mondo dei sogni; mille speranze si ridestano e rivivono come se un alito fecondo le avesse risuscitate... É la voce che ci viene da quei luoghi che ci videro nascere, ove trascorremmo i nostri giorni più lieti.
           E sei tu che ce la mandi, padre Gran Sasso. Dalle tue falde ubertose sopra cui innalzi superbo la tua cima solitaria ricca di bellezze nascoste; dalle fertili valli irrigate da quei fiumi che da te ricevono vita; dall'azzurro Adriatico che tu vedi dall'alto e di cui tu ascolti, nel tuo silenzio lontano, l'eterno canto delle sue onde; dai paesi e dai villaggi raccolti a te d'intorno; dai boschi e dai ruscelli che mormorano lungo le tue pendici; da te, insomma, e da quanto ti circonda viene a noi quella voce paterna.
           E ce la porta... sai chi ce la porta ?
           Un foglio di carta.... il Corriere Abruzzese.
           È la tua lettera quella, o re degli Appennini: è la lettera che tu mandi ai tuoi figli che oggi sopra altri monti fanno ciò che mai s'è fatto; ai tuoi prodi che, nell'altra sponda del tuo Adriatico a cui tu offri l'acqua più pura delle tue vene, si preparano ai cimenti gloriosi; ai tuoi semplici, ma valorosi figlioli, che più in là ancora stanno preparando un nuovo destino di popoli.
           E noi te ne siamo grati, padre Gran Sasso. Tu con la tua voce, attraverso il tuo foglio, riunisci la nostra grande anima dispersa: tu ridesti in noi amicizie ormai sepolte, e ce ne procuri delle nuove; tu assopisci vecchi rancori e ci affratelli maggiormente; tu ci ricordi il passato, ci mostri il presente, ci dici il futuro, e benché sparpagliati, tu ci raccogli, in una visione nostalgica, intorno alla tua ombra silente quasi per anfora le tue favole antiche e le tue leggende misteriose....
           E noi ascoltiamo; ascoltiamo ed ascolteremo sempre la tua voce, spesso dolce come la voce della mamma...
           

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           Quando, padre Gran Sasso, ricevo la tua lettera, io penso a te e ti rivedo... E quante cose care rivedo a te d'intorno! E la leggo, la tua lettera, e spesso chiudo gli occhi sotto l'onda dei ricordi cari che invadono l'anima. Perché, tu lo sai, c'è una pagina, in quella lettera, dedicata a noi: è il saluto che tu ricevi dai tuoi figli lontani e che tu mandi ancora lontano, perché in una trasfusione gentile il fratello sappia ove si trova il fratello. E spesso è il saluto dei nostri congiunti, dei nostri compagni, dei nostri amici più cari. Spesso anche è un addio... l'ultimo addio di qualche fratello immolatosi sull'altare della Patria. Non si piange allora, sai, padre Gran Sasso? no, non si piange: si attende, con la ferita nel cuore, il momento per vendicare gli eroi, e raggiungere lo scopo per cui essi morirono. E i tuoi figli, son degni di te, sai. Proprio ieri sera un ufficiale mi parlava di loro, e mi raccontava le loro gesta nel Monte Pasubio. Un caporale fece undici prigionieri in un attimo; un zappatore, dopo che il sottotenente, il sergente ed il caporale furono uccisi, prese il comando del suo plotone decimato e lo condusse ancora all'assalto....
           

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           Adesso però non sono io il primo a leggere la tua lettera. Quel foglio che ci viene quassù due volte la settimana non parla solo al cuore dei tuoi figli lontani: esso parla a tutti ormai. I miei compagni lo leggono con interesse, e sono veneti, toscani, siciliani. Trovano in quella lettera qualche cosa di diverso, di «originale nel tono e nello scopo» come mi disse un collega, qualche cosa che non si trova nell'infinita schiera dei giornaletti di provincia. Piace soprattutto il saluto dei tuoi figli. Non è il solito elenco di nomi preceduti o seguiti dalla solita frase; no: è spesso un pensiero ardente d'amor patrio, un ricordo nostalgico ai congiunti ed amici, una notizia inviata in fretta, un motto scritto certamente fra un assalto e l'altro, e sempre, per lo più, individuale, originale, rare volte collettivo. Si nota inoltre il bisogno del Corriere, la gratitudine da parte di chi lo riceve, il reclamo dagli altri.
           E poi c'è altro ancora che piace. Quando si parlava di te, padre Gran Sasso; quando cioè, si gettò il grido di risveglio per le tue ricchezze e per le tue bellezze, e si scrisse di te e dei tuoi tesori da scoprire un giorno non lontano, allora la tua lettera era più interessante.
           — Sai? mi disse un collega veneto: Io non conoscevo l'Abruzzo, e, lo credi? questo giornale me lo ha rivelato.
           — E' la lettera del nostro Gran Sasso, risposi.
           — E' il primo giornale di provincia che io trovo interessante, forse perché è Abruzzese.
           E la tua lettera gira, portando dovunque la tua voce solenne con i ricordi e le speranze più care.
           

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           Un giorno, ormai non lontano, quando raccolti a te d'intorno, tornati alle tue pendici, riascolteremo le tue favole antiche e le tue leggende remote, e riandremo a questi giorni in cui l'umanità lava le sue colpe nel sangue più puro e nelle lagrime più sante, ci domanderemo: - Che cos'avevamo di più caro dopo la lettera della mamma e della sposa ? Risponderemo certamente: Era la lettera del nostro padre Gran Sasso.
           E allora, chini sotto il peso dei ricordi lieti e tristi, rievocati attraverso i numeri del Corriere, insieme all'orgoglio di aver preparato all'Abruzzo, all'Italia ed al mondo un destino migliore, non potremo fare a meno di sentire anche per questo foglio qualche cosa in mezzo ai mille sentimenti sorti dalla visione del passato.....
           E sarà un sentimento di gratitudine sincera.
           E tu, padre Gran Sasso, benedicendoci come fai oggi, seguiterai ancora a parlarci con la tua voce paterna e spingerci, col ricordo del tuo passato, verso un avvenire migliore, verso un continuo perfezionamento morale, fonte unica di un vero e saldo progresso.
           Ed i tuoi figli ascolteranno anche allora, come oggi, la tua voce solenne!
           SILVIO SABATINI, sergente degli Alpini.
           

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           Con intensa commozione abbiamo letto lo scritto che ci manda il sergente degli alpini SILVIO SABATINI, nostro comprovinciale, giovane di ingegno, di coltura, che ama d'intenso amore tutto ciò che è progresso, bellezza, virtù di nostra stirpe.
           Diciamo con intensa commozione, ed è veramente così, perché vediamo compresi appieno gli scopi che il Corriere si proponeva all'indomani della dichiarazione di guerra, e perché vediamo di quanta simpatia e di quanta gratitudine sia circondata al fronte l'opera nostra! Ne siamo orgogliosi!
           La lettera dell'egregio sig. Sabatini è la più bella, la più nobile lettera che ci sia mai pervenuta dal fronte. Pubblicandola le diamo il posto d'onore, anche come attestazione di nostro compiacimento e di gratitudine.
           E vengano presto i giorni felici in cui i baldi soldati d'Italia, tornati alle feconde opere di pace, non potranno non sentire per questo vecchio foglio d'Abruzzo, in mezzo ai mille sentimenti sorti dalla visione del passato, un vingolo d'affetto che per volgere di anni e mutar di vicende, non si spegne, né si attenua.
           A tutti i soldati d'Abruzzo, ai figli valorosi del padre Gran Sasso un bacio fraterno
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           T. B. STOPPA