I teramani nella Grande Guerra.
Il conflitto raccontato dalle pagine del Corriere Abruzzese
Anno 1916


In memoria. Alberto Marchetti (11-11-1915)

           
           “Sono ferito leggermente al fianco; domani darò particolari”.
           Era questo l'annuncio che della sua gloriosa ferita dava alla madre, lontana, ignara perfino che Egli combattesse, il Sottotenente Alberto Marchetti; ed oggi che compie un anno da quel giorno fatale in cui la sua giovinezza, ricinta dalla fulgida corona del sacrificio volontario, si univa in uno slancio sereno alle mille altre immolate nella lotta e sacre ormai alla Patria, rammentar la spartana fortezza di spirito balzante da quelle righe, è il modo più compiuto per commemorare l'anima eroica di Lui.
           Sembra ancor oggi che quelle parole, scritte da una mano tremante di commozione e vicina a gelarsi nel soffio della morte, rilette forse con occhi cui nell'ultima luce dell'essere velavan le lagrime - non di rimpianto per la vita nobilmente donata, chè l'animo non vacilla in quei supremi momenti, ma pie, dolcissime lagrime di amor per i cari lasciati nella casa solitaria dell'Abruzzo natio, a pensare, palpitare e soffrire; lagrime di estremo saluto ai genitori prima di ridonar ad essi il respiro onde sorse la vita - sembra, dicevamo, ancor oggi che quelle parole, raccolte negli angoli delle mute stanze, ripercuotano l'eco di una inestinguibile speranza, cerchino i cuori dei congiunti con vaghe forme allettatrici allontananti la tragica verità; siano come l'ombra sacra e vivente di Lui, che il padre, la madre, i fratelli ancora attendono, quasi che Egli fosse sempre lassù ad assolvere il proprio dovere, a combattere con l'altra gioventù d'Italia per la fortuna della Patria.
           Ma purtroppo oggi - un anno fa - tu, o Alberto Marchetti, gli occhi fissi al nemico, l'animo sicuro, pronto il braccio, i tuoi bravi soldati guidando contro le opposte trincee, cadevi a mezzo il cammino, e il sangue, che caldo ti fluiva dal fianco lacerato, copiosamente irrorava la terra e segnava una nuova tappa più avanzata verso la vittoria.
           Ed ora in questo triste giorno in cui i tuoi cari, anelanti ad un conforto, cercano e suscitano tutti i ricordi, che invece gettano l'animo loro in una rinnovata tortura: oggi, di ora in ora, di minuto in minuto, con strazio indicibile essi rivivono tutta l'angoscia passata.
           Ricordiamo e pensiamo: ricordiamo quella sera ultima del mese di Agosto in cui tu, Alberto Marchetti, lieto ti avviavi al tuo destino, mentre la folla di amici e conoscenti te con voti augurali salutava ed acclamava, conscia forse dell'ultimo tributo d'affetto che ti rendeva: ricordiamo il giorno in cui la tua famiglia che per la tua sorte viveva in continua ansia e trepidazione, accoglieva nel suo seno un nuovo Ufficiale, alla cui salute ed al tuo bene augurando brindava: e pensiamo, al tragico destino che volle che nella stessa famiglia, nello stesso giorno, e forse nel medesimo istante, un figlio da eroe combattendo cadesse, ed un altro indossasse per la prima volta la divisa, e il tuo posto occupando, i tuoi stessi soldati guidasse all'assalto per te vendicare; pensiamo all'angoscia che dovette stringere l'animo suo, quando a lui che credeva di aver ritrovato in te il vero fratello d'arme, fu bruscamente rivelato il triste tuo destino. Ma neppure il conforto di vegliare al tuo letto gli fu concesso, e tu, contento di aver assolto fino all'estremo il dover tuo di soldato, chiudesti gli occhi alla luce, portando in essi la visione della Vittoria che avrebbe arriso ai tuoi compagni rimasti.
           E come i tuoi soldati, ammirati del tuo valore, e a te devoti più che un fratello, ti sorressero e ti portaron lungi dall'infuriar della mischia; come il tuo colonnello ti curò la ferita ancor fresca, così, col medesimo amore, con lo stesso pietoso pensiero, essi, i tuoi prodi militi, testimoni dell'epica tua fine, con gesto commosso, muti e severi nel dolore, i tuoi resti mortali composero nella bella tomba, e quasi per averti sempre presente, esempio ed impulso a nuovi ardimenti, quella trincea, donde tu vivo uscisti per rientrarvi ferito e morente, al nome tuo intitolarono.
           Ma commemorare oggi te, richiamare alla memoria i tuoi ultimi istanti, esaltare la volontarietà del tuo sacrificio, o rammentare uno dei tanti che lassù dormono nei piccoli cimiteri presso i paeselli che vivono più accanto alla guerra, o pei campi sotto la pace di una rustica croce, non significa forse chiamare a raccolta [parte mutila] divina, o Italia, e tu, o Alberto Marchetti, non fosti purtroppo l'ultimo ad offrirti: ai primi caduti altri si sono aggiunti, ed ormai è coorte, sacra legione, magnanima schiera di eletti.
           Noi immaginiamo — e ci sembra bello non distruggere il vasto mondo di miti e leggende che il popolo ha creato intorno a queste figure di eroi — noi immaginiamo che quando uno di questi spiriti gloriosi si affacci alla soglia di quel luogo ove si raccolgono in lieta compagnia quelli che morirono difendendo le leggi della Patria debba farsi intorno ad esso un affollarsi ansioso, un domandar vario ed incessante, tal quale intorno a Dante che veniva dalla terra si stringevan le anime dei trapassati per conoscer le cose del mondo, per far sapere al mondo le loro novelle. E quando oltre le trincee si spinge in massa l'attacco e si porta avanti l'offesa, alla sera, nel riposo dopo lo sforzo, nella calma gioiosa dopo la vittoria, noi pensiamo che le anime dei caduti, migranti verso il lido beato, venendo al cospetto di quelle che le precedettero nel nuovo cammino parlino così, dolcemente:
           - Voi che di rosso tingeste i nevai del Trentino battendo l'invasore; voi che le rossastre rocce del Carso di sangue bagnaste, ond'esso è divenuto ara immensa e grandiosa di una nuova religione; voi che cullati dal ritmo dell'onda giacete nel fondo del mare vendicato; udite, udite o fratelli: Su, lungo le creste dell'Alpi; giù, lungo le catene del Carso, per le colline che la luna illumina, pei paesi fumiganti odor di lotta, fino alle rive che il mar di Venezia lambisce, stasera è canto di vittoria che erompe dal petto dei vivi fratelli; il nemico si ritira arretra, fugge; il cannone saluta e veglia. Fratelli, le madri piangendo dalla terra ci benedicono; ci benedicono i figli; ci benedicon le spose. Sia pace, pace per essi; salute per i compagni rimasti! Devoti al più alto dovere, noi morimmo perché la patria vivesse.
           Così, ossequenti alla legge, morirono Alberto Marchetti, Francesco Pellecchia, Noè Lucidi, Guido Trevi, Pietro Morlacchi, Raffaele Martella, Pasquale Medori e gli altri nati di questa Teramo; così moristi tu, o fratel mio, così muoiono, figli d'Italia serenamente, devotamente, spesso ricordati, ma più spesso oscuri, silenziosi come voi, o buoni montanari d'Abruzzo, umili lavoratori dei campi! Ma per te, o Italia, dinnanzi alla storia son tutti uguali i figli che generosamente ti dettero la purezza del loro sangue, e mai lento trascorrer d'anni e lungo cumular di secoli potranno cancellare e seppellire la memoria della loro virtù eroica.
           RANIERI CERVINI