10 novembre 1894
In memoria di Panfilo Gammelli
discorso di Camillo Sagaria
(Prima parte)
Signori,
se di un uomo e della parte ch'egli ebbe in politiche vicende nessun giudizio è più autorevole di quello di Francesco Michitelli (1), certo il nome di Panfilo Gammelli, ricordato con nobili parole da l'insigne storico, è sacro a l'ammirazione de i posteri. Pure a pochi è stata sì empia e tenace l'ingratitudine de i tempi, e l'urna sì avara di gioia: risorta l'Italia nostra a libero regime, nessuna onoranza è stata a lui resa, nessun elogio fu scritto, nessuna lapide che ne ricordi il nome; neppure la pietà per i defunti ha avuto un segno, che distinguesse le sue ossa: onde parmi come un dovere cittadino rammentare chi fu Panfilo Gammelli. Ben altri da me più degno dovrebbe oggi ragionarvi di lui, ma il pensiero che la lode de i trapassati non debba considerarsi come argomento di ornate scritture o di sapienti discorsi, sibbene come pubblico ufficio, mi conforta e mi sprona a dirvi le notizie attinte su la vita del Gammelli e le impressioni che ne ho tratte.
E mi è caro rendere omaggio a la sua memoria qui tra voi, o Reduci delle Patrie Battaglie, tra voi, che in tempi di sterile scetticismo da una parte e di malsane aspirazioni da l'altra, tenete alta e viva la lampada degli entusiasmi patriottici e baldi, spiegate al vento, come a raccolta, la bandiera, che sorrise a le pugne ed a i trionfi del pensiero umano e de l'idea nazionale.
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Narrandovi la vita del Gammelli, o signori, io non vi leggerò che una de le pagine, che scritte col sangue dei martiri, sono la storia de l'unità italiana.
Nasceva Panfilo Gammelli il 14 marzo 1800 da Pasquale Gammelli e da Teodora Quartaroli; ebbe umili natali, ma alto l'ingegno, vivo l'amore del sapere, sdegnoso e forte il carattere. Dedicatosi ben presto a gli studi letterari e giuridici acquistò tosto fama tra i suoi concittadini; su le opere del Montesquieu, del Condillac, del Tracy, del Romagnosi temprò la sua mente, formò l'anima sua. A pena ventenne si trovava già ne la Lega Sannitica una de le Vendite de i Carbonari, e iniziava così la vita di esule e di cospiratore, che fu per lui una dolorosa istoria di persecuzioni, di fughe, di prigionie in Italia, in Francia, in Inghilterra.
Si laureò giovanissimo in giurisprudenza ed entrato nel foro, ivi non cercò campo da arricchire; ma combattendo ingiustizie e soprusi, trovò la palestra dove attaccar battaglia con le istituzioni d'allora: onde, rivelatosi fautore di civile libertà, fu arrestato la prima volta nel 1821.
Nel 1828 si unì in matrimonio con Irene Morelli, da la quale ebbe l'unico figlio a nome Rodrigo. Ma le dolcezze domestiche non affievolirono punto quello spirito gagliardo, né a lungo lo tennero lontano da le lotte: nel 1831 infatti lo troviamo segretario del generale Sercognani, un vecchio soldato de l'impero, che capitanando poche centinaia di giovani operò ne le Marche e ne l'Umbria. Ma occupata Bologna da gli Austriaci e vinti gli insorti a Rimini, quando quel manipolo di volontari depose le armi, il Gammelli tornò a Teramo, ove per i suoi spiriti liberali fu nuovamente processato e condannato a la relegazione ne l'isola di Ponza. Di là fuggì e vagò per l'Italia: conobbe Nicola Fabrizi e Giuseppe Mazzini, che lo mandarono emissario a Malta ed in Francia. Dopo essere stato per vario tempo prigione de gli Austriaci in Sardegna, riavuta la libertà, emigrò a Londra, ed ivi si ridusse a fare l'industriante; ma, derubato dal suo socio e rimasto senza mezzi, si rifugiò a Marsiglia, dove, padrone com'era de la lingua francese, passava giorni tranquilli insegnando l'italiano e facendo l'avvocato.
Ma gl'Italiani non sanno vivere a lungo lontano da la patria; il pensiero de gli agi che godono altrove, de le amarezze e de i disinganni che qui li attendono, non li salva da la nostalgia; e tornano, perché sono nati in questa classica terra, dove gli affetti di famiglia, la natura l'arte parlano un linguaggio ed hanno un fascino cui non si resiste. Aggiungete a ciò la natura irrequieta del Gammelli, il suo ardente desiderio di combattere per la causa de la libertà e vi spiegherete come egli lasci gli agi di Marsiglia e torni in Italia. Ma qui la carcere l'aspettava; a pena sbarcato a Napoli fu arrestato per ordine de la polizia, che lo designava come uomo pericolosissimo.
Ne la sua vita di cospiratore molto soffrì; in più di quaranta carceri, narrava egli stesso, era stato detenuto, ed oltre a ciò spesso era stato costretto a viaggiare a piedi nudi, a dormire per terra, a cibarsi di erbe e di spighe di grano per non morire di fame.
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Data da Ferdinando II la costituzione al suo regno, egli volle tornare in patria e nel marzo del 1848 tornò a Teramo da Foggia; con questa data s'inizia il più importante periodo de la sua vita.
Era alliora ne la nostra città un periodo fervente di lotte; i principii de la filosofia Mazziniana dopo il 10 febbraio s'erano diffusi con la rapidità del baleno; la rivoluzione de le idee era al colmo, sì che le trepidazioni, i dubbi di Ferdinando II non potevano trovare qui che un eco di collera e di segno. Ad un Circolo popolare (2) di cui fu presidente Emidio de Marinis, dopo un'assemblea generale tenuta in teatro, si volle far seguire un Comitato ed a questo, quando si vide che il Decurionato col sindaco non era l'espressione del sentimento cittadino, tenne dietro nel 21 aprile il Municipio, che fu un aggregato di uomini volenterosi e liberali e d'ogni capo di onesta famiglia. Ma al Municipio mancava ciò che più bisognava, l'unità di azione; il pacifico consesso si convertì in un'assemblea tumultuosa troppo imprudente ne i suoi deliberati, a pena si seppe il richiamao de le soldatesche da la Lombardia. Le notizie del 15 maggio e lo stato d'assedio a Napoli fecero divampare l'incendio: la miseranda giornata in cui rimaneva spenta la libertà del paese ne la collisione de i due estremi partiti, lo spaventevole eccidio in cui erano periti cinquecento cittadini e diciannove donne, le rappresaglie al largo del Castello ai palazzi Gravina, Cirella, Lieto, accesero qui gli animi liberali a lo sdegno. D'altra parte imponeva a tutti la più rigida fermezza di carattere l'esempio di quei rappresentanti de la Nazione, che, congregati a Monteoliveto, novelli senatori romani al tempo di Brenno, non riuscendo a fare più opera alcuna in pro de la patria, imperterriti avevano invano atteso la volta del loro sacrificio. Era in Teramo a tutti noto che Ferdinando II era stato in pieno consiglio amaramente colpito da la fierezza abruzzese, che gli aveva minacciato la fine di Luigi XVI, per boca di Aurelio Saliceti,e quindi, o signori, non vi parrà strana l'ardimentosa risoluzione che fu presa dal Municipio il 28 maggio.
Presiedeva D. Giannicola Michitelli, in vece del sindaco allontanatosi da la città, quando il sacerdote Raimondo Massei esclamò che per il 30 non voleva vedere pennacchi rossi per Teramo, alludendo a la festa civile per l'onomastico del re, ma che si dovessero anzi celebrare in tal giorno solenni funerali per i morti su le barricate nel 15 maggio, mentre Giovanni di Michele, animoso popolano, esortò tutti ad accettare la proposta ed a morire, quando bisognasse, come i fratelli di Napoli; l'assemblea allora elevò un grido di unanime approvazione. Panfilo Gammelli, che ne l'animo suo volgeva fieri propositi, né si appagava di vani apparati, insieme a pochi altri si oppose al deliberato del Municipio, comprendendo la inefficacia di quell'atto; ma la sua voce non fu udita; anzi, proprio a lui, a la sua calma, dignitosa, irresistibile eloquenza commisero l'incarico di commemorare i martiri di Napoli. Egli accettò, e la sua fu una di quelle orazioni splendide nel contenuto e ne la forma, che rammentano i poderosi oratori de la letteratura greca e latina.
(1) E' deplorevole l'oblio in cui è caduta la "Storia delle Rivoluzioni nei reami delle Due Sicilie", che è vasta, poderosa e lucida sintesi d'ogni sconvolgimento che ne l'Italia meridionale da la dominazione romana fino a l'ultimo de i borboni ebbero a notare le istorie, e che fa paragonare il Michitelli sl Botta per lo splendore de la forma, al Colletta per la gravità e la robustezza de lo stile.
(2) Altri circoli popolari per diffondere le idee di libertà si fondarono ne la provincia da animosi liberali: a Penne, Loreto, Pianella per opera di Carlo Ginaldi e Francesco Marozzi; a Colonnella, Nereto, Corropoli per opera di Vincenzo Ranalli e Berardo Trosini.
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