|
L'Ultima Dimoraa cura di Federico Adamoli |
avvocato, deputato, L'Aquila (8-7-1885). [Inizio Voce]a che il divieto della fatica non gli venisse recisamente imposto; e poi si rassegnò considerando che dopo di lui rimarranno a combatter valorosi sotto la medesima bandiera i due suoi figli Vincenzo e Camillo. Iersera tutta la città rese al cav. Camerini le dovute onoranze funebri. Le rappresentanze di tutti i pubblici uffici, di tutti gli istituti, di tutte le corporazioni, 23 bandiere seguivano la sua salma, attorno alla quale parecchi discorsi furono pronunziati in piazza Castello. - Ma l'interesse che ognuno aveva di sentire, e lo stiparsi attorno agli oratori, fra i quali il Comm. Michele Iacobucci e il cav. Panfilo Tedeschi, mi vietarono di capire la parte migliore dello spettacolo. E nel considerare la vita dell'uomo spento, che era uno dei forti nodi fra aquilani e teramani, pensai che là dove passava in quel momento la salma di un uomo battagliero, d'un perseguitato della tirannide, s'inalberavano una volta delle forche per parecchi nostri concittadini, che travagliavano per la libertà, e che in quelle carceri del Coccodrillo uniti ad una fede, lungamente gemerono i nostri martiri del 1814, Toro, Sabatini, Albii, del 21, del 48. E inanzi a tanta testimonianza di virtù e di fede mi commossi, pensando che la simpatia fra aquilani e teramani, è qualche cosa di superiore alle ragioni topografiche ed economiche, essa dipende da una forza che genera e sostiene tutti gli affetti poderosi ed eterni: dipende dalla storia. (Giacomo Di Tizio)
|