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L'Ultima Dimoraa cura di Federico Adamoli |
preside, patriota, Teramo (5-7-1890). [Inizio Voce]colonnello Salomone, il quale, saputa con dolore l'infausta notizia, ci disse che sarebbe stato conveniente andarne a informare il Generale che avea stabilito il suo quartier generale in una fattoria della principessa Sciarra, a forse due chilometri da Passo Corese. Ci andammo subito, credo in numero di cinque, ad onta dell'estrema stanchezza dopo la marcia faticosissima di tutta la giornata. Attraversando il campo di Menotti, incontrammo, era già sera, la signora W. Mario che veniva dal quartier generale. Come seppe di noi, ci si fece incontro, e volle sapere i particolari della mischia. Udita l'eroica morte di Enrico, e così si credeva allora, di Giovanni, esclamò: "E voi, come siete sopravvissuti?" Proprio quelle parole ch'ella ha poi messo in bocca di Garibaldi. Parole amare e ingiuste, dette a uomini che avevano in cuore strazio assai più grande che non poteva essere il suo! Uno dei nostri rispose: "Signora, nessuno dei settanta ha mancato al suo dovere: verrà tempo che lei ci renderà giustizia". E andammo oltre. Qualcuno ci disse: costei è la signora Mario. Mi duole, diss'io, perché è donna egregia e d'alti sensi. Ripetetele che noi abbiamo fatto il nostro dovere, e lei non ha fatto il suo, giudicando con molta leggerezza uomini e fatti che non conosce. Arrivati alla dimora del Generale, trovammo sulle scale Menotti, al quale demmo relazione della dolorosa fazione dei Monti Parioli. Menotti volea dapprima che si ritardasse a dare al padre il triste annunzio, ma dopo un poco soggiunse: è inutile, una volta l'ha a sapere; e c'introdusse dal Generale, ci presentò, e narrò lui stesso in poche parole la strage gloriosa. Garibaldi rimase qualche minuto con le mani sul volto: egli amava Enrico come figliuolo. Poi sollevò la testa, si rivolse a noi e disse: "Ebbene sì,
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