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L'Ultima Dimoraa cura di Federico Adamoli |
Teramo (7-3-1896). [Inizio Voce]eletta e il cuore buono. Quando questo compito ebbe raggiunto parve per un momento che si riposasse; invece riprese la via con novella lena quando i nipotini, pispiglianti come fringuelli, popolarono la casa e rinnovarono alla buona vecchia la famiglia che già era stata sua. Parve allora ringiovanisse, e alle doti di saggia massaia tornò ad aggiungere, ricordandole, quelle di saggia educatrice. Fu lei che guidò i primi passi dei nipotini, fu lei che educò con rigore di matrona romana, temperato dalle necessità, dai bisogni e dalle innovazioni dei nuovi tempi, le tenere piante. E con quanta saggezza intendeva la missione della madre di famiglia! Sebbene non avesse coltura da letterata e da pedagogista, ma tanta quanta a donna di civili casato se ne convenisse discorreva delle faccende di famiglia con competenza speciale e con criterii di provetto amministratore, regolava la educazione dei nipotini con senso pratico, retto, intelligente; parlava degli avvenimenti della vita con un senso di giusto e di equo da parere meraviglioso in donna che appariva tanto umile e modesta; ed era nei suoi modi così buona e remissiva da accattivarsi l'affetto e la stima di quanti l'avvicinavano. Religiosa, ma non bigotta, ebbe la religione come aiuto a svolgere il sentimento del bene che la educazione e la esperienza educavano e affinavano, e che non invocò quindi per giustificare i pretesi castighi di un Dio vendicatore, sentimento e credenza di popoli decadenti. Fu dunque donna "che tutto sacrificò che amò tanto, che molto compatì e non odiò mai". E questo insieme di doti e di sentimenti rese cara e venerata alla figliuola la persona e il nome della povera genitrice, quest'insieme di doti e di sentimenti rinnovò nel genero, nell'amico nostro, la imagine della madre sua, tanto che come
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