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L'Ultima Dimoraa cura di Federico Adamoli |
Montesilvano (17-7-1897). Cleomene Delfico colpita da improvviso malore la mattina del 12, a le 7 e dieci minuti del 14, mancava serenamente ai vivi ne la sua villa di Montesilvano, in mezzo al compianto inenarrabile dei figli e del marito che l'adoravano; in mezzo al doloroso stupore dei congiunti degli amici, di tutto un popolo che avevano appreso a venerarla. E degna di venerazione era la notissima gentildonna per la nobiltà dei suoi sentimenti, per le peregrine virtù di sposa e di madre che mirabile la rendevano. Sortì da natura fibra virile; ma quale fibra, ancorché adamantina, può resistere lungamente a le sorde insidie del dolore? Ed ella dal giorno de le nozze incominciò a soffrire, ché fu costretta a recarsi in volontario esilio ne la terra di Francia per non abbandonare il profugo suo sposo: vide più tardi rapirsi da la morte, ne la primavera della vita, il maggiore suo figlio; vide altri mali penetrar furtivi, paurosi ne la sua casa; à visto di recente tornarvi vedova sconsolata una figliuola, uscitane appena pochi anni innanzi sposa felice; e ad un tratto, subitaneamente, sotto il peso de gli affanni di già accasciatasi, la magnanima donna si è spenta! Adagio... adagio... così, o necrofori, celatene ora i mortali avanzi in seno alla terra. Questa poserà su lei leggera, perché fu pia: e confortata di pianto sarà la sua tomba, perché generosa è la sua prole. Quella casa, così lieta per la squisita sua gentilezza un tempo, oggi à lo squallore del sepolcro. Vuota, echeggia tutta di gemiti e di pianto. E chi oserà dire a i miseri suoi abitatori una parola di conforto? Innanzi a tanta sventura chi sa e vuol comprenderla tace. Fremendo, ma in silenzio, ogni spirito eletto studia gl'inesorabili decreti de la morte, e ne trae argomento per
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