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L'Ultima Dimoraa cura di Federico Adamoli |
Teramo (14-2-1903) Mercoledì mattina, dopo lunga e straziante malattia, cessava di vivere in giovane età Luigi Calderale, la cui famiglia sembra che dalla dura parca sia stata prescelta per spezzarvi le vite più rigogliose e promettenti. Ed è perciò che, alla ferale notizia, il pensiero dei concittadini corse mesto al ricordo dei lutti per le morti avvenute in breve volger di armi, della buona mamma di lui Vincenza, della virtuosa sorella Isabella — che pareva avesse dovuto giungere, per la torte fibra, alla più tarda età — e del fratello Raffaele, la cui giovanissima esistenza si spense fra le braccia di lui a Napoli. E per il povero Luigi, il triste fato è stato più feroce, perché l'ha ucciso quando egli si preparava a formare una desiderata famiglia con la compagna a lui unitasi proprio alla vigilia in cui il male che l'ha spento lo colse, una compagna che per la bontà dell'animo lo avrebbe fatto felice. Poiché egli si era sposato ad una fanciulla (nella cui famiglia l'animo buono è tradizionale) la signorina Ermengarda Pacini, figlia di quel caro amico che fu il Dottor Ettore Pacini, simpatico e valoroso avanzo della Camicia rossa. Fra le sofferenze di un male che gli ha fatto guardare la morte in viso fino all'ultimo attimo, egli è sceso nella tomba cristianamente; perchè, sebbene avesse rifiutato i conforti offertigli dal sacerdote, li invocò e li ebbe innalzando il suo pensiero a quel Cristo che predicò la religione dell'amore e del perdono. E quindi al suo funerale vi fu solo la croce circondata dallo spirito della carità, che, per un giorno almeno, ha sollevato parecchie centinaia di famiglie di nostri operai, questi nostri buoni e bravi operai tormentati dalla disoccupazione; i quali furono invitati ad intervenire alle funebri onoranze e vi convennero
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