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L'Ultima Dimoraa cura di Federico Adamoli |
ingegnere, scrittore, Induno-Olona (8-9-1910) [Inizio Voce]che gli pareva enorme nella sua malattia era la necessità di non lavorare. Egli ignorava la natura crudele e invincibile del male che rapidamente lo rodeva e quando i medici illudenti lo avvertivano che prima di qualche mese non si sarebbe rimesso in forze, sorrideva con una punta di malizia. Io vi farò — pensava — un grazioso giuoco poiché fra qualche settimana mi sarò alzato e rimesso al lavoro. Né veramente moriva ozioso; che quindici giorni prima della morte compiva un lungo e faticoso arbitrato intorno a una questione di opere idrauliche in cui parecchi milioni erano in giuoco; e la sua mano non reggeva più alla fatica di firmare. Poi, la coscienza della realtà dové illuminarglisi nella mente. Sentì che moriva. I parenti lo videro un giorno come mutato; chiuso in sé lo videro, tetro, che guardava davanti a sé come fissasse un problema da sciogliere, come se volesse penetrare un mistero. Nel suo spirito, in quell'ora, la vita fronteggiò la morte. Aveva sessant'anni e li aveva vissuti sereni ed agili come le strofe di un inno: ora bisognava morire. Gli erano intorno i suoi cari: la donna sua - moglie tenerissima e delicata amica - e la figliuola, sposa, che alla sua bianca età e al suo silenzio di tramonto aveva dato, come olezzo di fiori e pigolio d'uccelli nella ritornante primavera, nipoti; e altri. E bisognava lasciarli, l'ombra della spietata necessità gli passò sul volto e sul cuore che ne furono tristi e muti. Ma vinse la fiera battaglia e ritornò sereno e sorrise. Non disse nulla. Vedeva soffrire intorno a sè e non volle che sapessero ch'egli sapeva; non volle far pesare sulle creature dilette la propria angoscia. Ebbe una estrema gentilezza: simular l'ignoranza perchè l'idea della sua minor pena alleviasse la pena loro. E fu questo l'epilogo d'una vita familiare
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