Luigi Antonelli
(11 dicembre 1927)
Il Solco pubblica un articolo a firma di Goffredo Martegiani che traccia un profilo dello scrittore Luigi Antonelli:
SCRITTORI DI NOSTRA GENTE. LUIGI ANTONELLI.
Ho ritrovato fra le mie carte due cose interessantissime non già dimenticate, ma solo trascurate fra la ridda implacabile, di carta che mi perseguita e mi opprime: una fotografia di Luigi Antonelli con una dedica affettuosa ed una copia del giornale «Comoedia» di Parigi, del 10 dicembre 1925, nella quale figura una lettera diretta al Direttore.
Pubblico la prima.
E dalla seconda stralcio questo brano che trascrivo: «Mais le public ignore que je suis né dans un tronc d'arbre et que je vis dans la proximité d'un bois. Pendant que l'on donnait à Paris la répétition générale de ma comédie, je tendais des pièges aux rouges-gorges (les seuls pièges que je tende en ma vie) qui ont la douce habitude d'hiverner parmi les mjrtes des bois de pins».
E questo è Luigi Antonelli.
Innamorato della natura in tutte le sue più semplici espressioni, studioso della realtà senza veli, desideroso di quiete, modesto ed operoso.
Tutta la sua passione è la serenità di vita in un angolo di mondo ove non sia che pace, ove non possa giungere la indiscrezione degli altri e nemmeno l'eco fastidiosa degli schiamazzi di quanti si affannano ad inseguire le loro tristi illusioni.
Che cosa egli non ha saputo dire, in una prosa che è verso per eleganza di stile e fluire di linguaggio, per celebrare le meraviglie della pineta pescarese popolata di ombre e di silenzio, generosa di quiete e di profumo?
Eppure quest'uomo è uno dei migliori scrittori italiani della nostra epoca pretenziosa.
Applicandosi allo studio della personalità umana spogliata di tutti i fronzoli, di tutti gli artifizi, egli ha saputo cogliere le linee fondamentali della umanità dell'uomo, ed i fenomeni strani della relatività psicologica.
E da tale conquista, sposata ad una convinzione filosofica precisa, con la fantasia disinvolta che gli è propria, egli ha saputo esprimere azioni di teatro che sono capolavori.
L'estero lo ha ammirato.
La lettera di cui parlavo fu scritta dall'Antonelli dopo che ai «Champs Elysées» a Parigi la compagnia «Les Pantins», nel novembre del 1925, ebbe data alle scene «L'uomo che incontrò sè stesso», e la critica parigina si addimostrò entusiasta della Commedia del nostro autore, del quale critici insigni, tra cui Gabriel Boissy, non esitarono a dire che fosse un precursore.
Davvero un precursore. Perchè egli scrisse nel 1915 cose che dopo parecchi anni il teatro pirandelliano ha posto in gran valore, interessando l'Europa intera e l'America latina; perchè egli prima di ogni altro riuscì a scoprire i confini della relatività psicologica della verità umana.
Che importa se egli fu modesto e preferì la riservatezza della vita serena ai trionfi delle platee? uno dei più grandi meriti dello scrittore illustre è quello di restarsene estraneo al movimento di popolarità che la sua opera può mai riuscire a creare.
Così il successo appare più bello e meritato, capace di essere per sè solo motivo di orgoglio legittimo.
Oggi che ogni creazione, per esigenze insipide della ambizione umana, è dagli stessi autori tanto spesso esaltata e peggio ancora propagandata, l'esempio luminoso di Luigi Antonelli certo dovrebbe molto insegnare.
La verità pura e sola è che il successo segue unicamente l'opera degna di rimanere: il problema non è di conquistare subito il trionfo, ma di creare cose che abbiano in sè la virtù necessaria per durare.
Questo deve imparare la gente nostra operosa dai suoi uomini migliori. (Goffredo Martegiani)
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