Correvano le lettere anonime, comparivano scritterelli vituperosi che, tanto per dar loro un nome, la gente chiamava satire o sonetti. Ma guai agli autori se venivano scoperti: se ne immischiava subito l'autorità, e, se le satire toccavano un po' in sù, perfino i governatori delle provincie, terribili uomini che di solito facevano piangere. Ma qualche volta quei governatori erano anche lodati per certi loro modi duri e spicci di far giustizia vera e d'imporre silenzio; però si trattava di casi in cui era difficile errare. In ogni modo, avevano sempre giudicato bene quale che fosse stato il loro giudizio, perché il Re che era padrone di tutti si faceva con essi dei grandi riguardi: erano cari alle grandi potenze, alla Santa Alleanza, che forse glie li aveva messi intorno a sorvegliare anche lui.
Ma dopo il 1830 quei governatori divennero inquieti. Non era stato un buono acquisto pel re di Sardegna il territorio della repubblica di Genova. Bella giunta, sì, e ricca al suo regno, mai quei liguri erano imbevuti delle loro vecchie idee di libertà e riottosi. I popolani, anche i villici, guardavano di malocchio i piemontesi e li pungevano con ironia nel loro difficile dialetto. I più derisi erano i langaioli, specialmente quelli delle terre che per contiguità l'amministrazione aveva messe a far parte delle provincie marittime di nuovo acquisto. Essi non potevano discendere dai loro monti tra quei genovesi senza sentirsi canzonare. Gaggia! gridavano loro i volghi, facendo l'atto di fiutare in aria l'odore del bel fiore giallo; e intendevano di dire polenta, come se i piemontesi non si nutrissero d'altro.
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