Leggeremmo che parecchio dopo l'infelice prova d'armi sull'Agogna una notte passò per valle di Bormida, a Spigno, a Dego, una carrozza che si fermò a Cairo, nella piccola piazza del paese deserta per l'ora tarda. Là il cocchiere discese e andò a battere ad un uscio da dietro il quale venivano tonfi sordi, certamente di pasta rimescolata da qualche fornaio. L'uscio fu scostato un poco quasi timidamente, e tra l'uomo da dentro e il cocchiere furono fatte poche parole. Là, disse il fornaio, mostrando la casa di rimpetto, sta in quel palazzo là. Il cocchiere tornò alla carrozza e parlò con chi vi stava dentro. Allora una testa si porse dal finestrello e una voce chiamò alto: cavalier Stellani! Quasi subito si illuminò la vetriata d'un balcone di quel palazzo, che poco appresso fu aperta. Chi chiama? chiese una voce. Io, Santorre, fu risposto. Oh tu? smonta vieni su! - No, discendi un momento. - Aspetta. - E in pochi istanti il cavaliere fu lì dal viaggiatore. Ciò che si dissero non fu udito dal fornaio che pur era uscito a curiosare, e il colloquio fu corto. Addio, addio, certo non ci vedremo più. Parole amare. Poi la carrozza partì, e il cavaliere rimase a guardarla finché si perse il rumor delle ruote sull'acciottolato. Allora se ne tornò in casa lento e crucciato.
Era quel cavaliere Stellani uno che aveva militato da ufficiale nella Giovane Guardia di Napoleone, e nel ventuno apparteneva all'esercito del Re. Aveva in una guancia una cicatrice. Questa per lui e per gli amici paesani suoi, era di una sciabolata ricevuta in battaglia; per i nemici pur paesani, segno rimasto d'un colpo dato su d'uno spigolo di pietra, per caduta da cavallo, passando un ponte, dicevano fin di dove, di Trento.
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