Valle destinata a piccole cose di pace e a grandi mestizie quella della Bormida! Del Ventuno vi passarono Santarosa, i suoi seguaci profughi, gli ungheresi che li lasciarono andare al destino cui s'erano votati: del Quarantanove vi passò Carlo Alberto, anch'egli incamminato all'esilio. Non propriamente in una cronaca, ma in un libro fatto di ricordi d'un ragazzo che maturo li idealizzò, se ne legge così:
23 marzo 1849
Quel po' di neve è venuta come per celia e sparì. Se ne vede appena qualche chiazza sulle vette, dove già il verde si move. Ma la gente ha detto:
Poveri nostri soldati, con questi tempi alla guerra!". Dunque c'è di nuovo la guerra? Delle donne che stanno filando accidiose al sole, dicevano che quest'anno le rondini tardano a tornare e che è segno di sventura.
Sventura siete voi! - gridò il capitano Lino, - voi, sciocche e marcie di superstizione!".
26 marzo 1849
Stamattina, mio padre mi condusse con sé a spasso, come suol fare quand'è di cattivo umore. Io dicevo tra me: Che cosa avrà? Volgevamo verso il ponte, senza parlare. Dinanzi a noi una trentina di passi andava il capitano Lino, e verso di lui e noi veniva di trotto una carrozza. Quando passò vicino al capitano, questi tremò tutto, si piantò con le mani al berretto e gridò: Carlo Alberto! Mio padre corse per reggerlo; credevamo che cadesse svenuto. Intanto vidi in fondo a quella carrozza un mantello grigio, due grandi mustacchi bianchi, due occhi che mi guardarono di sotto all'ala di un berretto listato d'argento passar via, sparire.
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