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      Allora nella sua scuola suonarono temi che facevano andar in visibilio i giovanetti, solo a sentirli enunciare. Onde gli spiriti si inebriavano di idealità nuove, beati di cantare chi i Treni della nuova Gerusalemme, intendendo dell'Italia, perché avevano letto Geremia; chi l'Arpa trobadorica, per aver udito parlare dei Provenzali; chi Legnano, chi i Capitani di ventura, chi Ferruccio. Egli poi leggeva nella scuola pagine della Battaglia di Benevento e dell'Assedio di Firenze, lettere dell'Ortis, passi del Colletta; né il Rettore del Collegio glielo vietava. Anzi, questi, come gli altri Rettori degli Scolopi di Genova, di Savona, d'Ovada, di Finale, metteva a nuovo qualcosa anch'egli nella giovinezza dei suoi convittori; dava il bando all'abito a coda, all'alta cravatta, alla feluca, e vi sostituiva la divisa dei bersaglieri, e il cappello piumato, nero e azzurro i colori. Da tutto ciò una bell'aria di rinascita che spirava da tutto, e chi aveva lasciato pensare o pensato che gli Scolopi fossero stati sempre un po' in guerra contro i Gesuiti, poteva dire che avevano vinto o stavano per vincere. Il Rettore aveva fin fatto ripulire e dai corridoi meno visitati portar bene in vista il ritratto d'uno, ch'era stato convittore e principe dell'Accademia venti anni avanti e che adesso si avviava a divenire un gran tribuno a Casale, a Torino. E i convittori passavano con rispetto dinanzi al forte faccione dipinto di Filippo Mellana, che pareva uscire da una capigliatura soffocante per guardar loro e tirare il fiato perché la gioventù si destava.


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Cronache a memoria
di Giuseppe Cesare Abba
pagine 64

   





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