Il padre Canata vegliava e pregava pace. Ma che dolore il giorno in cui per la borgata passò uno squadrone di Aosta cavalleria, che marciava al Colle di Cadibona per andare all'assedio di Genova! Qualcuno aveva udito quei soldati a dire che avrebbero fatto in Genova la Pasqua, ma udito a dirlo con certe parole feroci che adesso non si possono più ripetere. E perciò collere nuove nel Collegio tra quei convittori, e pericoli di vederli venire alle mani. Il giorno appresso, il padre Canata salì in cattedra. "Aprite Dante, Purgatorio, Canto sesto!". Disse così e si mise a leggere. Chi di quei giovinetti vide poi, udì poi più Sordello, come ascoltando quella lettura, e la musica tempestosa dell'invettiva all'Italia? E fu pace. Di là a dieci anni, molti di quei genovesi e monferrini fattisi soldati volontari per le guerre del 1859 e del 1860, ne parlavano ancora esaltandosi, e ricordando il gran Maestro, si confidavano di sentire dentro d'essersi mossi a servire la patria anche per merito di lui.
Insomma allora il padre Canata aveva smorzate le ire. Gli animi di quei giovinetti non si erano più infiammati d'odio, neppur quando si diceva nel Collegio che dalle cime di Montenotte si udivano le cannonate dei piemontesi contro Genova; né se gli esageratori voluttuosi del male soggiungevano che anzi di lassù si vedevano sin le bombe nell'aria e che la gran città era già mezza in rovine. Poi silenzio e per parecchi giorni più nulla. Gli spargitori e i cercatori di notizie terribili tacquero.
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