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      Alcuni dicevano che Vittorio Emanuele non sapeva far altro che andare a caccia. E così nelle camerate non si parlò d'altro per settimane, finché capitò nel borgo e nel Collegio il Duca di Genova, fratello del Re. Andava anch'egli a veder Montenotte. Ma quello sì che era un principe! Si sapeva che a Novara aveva combattuto da disperato, e che verso la sera di quella amara giornata s'era imbattuto in un cannoniere che, morti gli altri serventi del suo cannone, si ingegnava a sparare ancora. "Che cosa fai?" gli aveva detto il Duca. E il soldato a lui: "Altezza, mi hanno insegnato che il cannoniere non deve abbandonare il suo pezzo fino alla morte, ed io aspetto". "Bravo!" aveva gridato il Duca, e aveva anche ordinato che si pigliasse il nome del cannoniere, il quale era appunto d'un casale di quelle parti. Certo il Duca lo avrebbe fatto cercare. Tutte quelle storie mettevano fuoco ai cuori. Fossero venuti presto gli esami, presto fossero passate le vacanze; se i mesi fossero stati cose, quei ragazzi li avrebbero dati via per nulla, purché venisse il settembre.
      Bella sveglia di spiriti fu l'apparizione dei reggimenti che per le valli del Monferrato e delle Langhe e dai presidi della Liguria si avviarono a Montenotte! Erano ancora formati massime di soldati che avevano vinto a Goito e perduto a Novara, ma rifatti d'animo, disciplinati e baliosi: belle fanterie rosse, gialle, bianche, bei bersaglieri e cannonieri poi che parevano di bronzo come i loro pezzi. Bocche da fuoco, sentivano dire i giovani invece che cannoni, e il nome pareva più eroico e da poesia e da battaglia.


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Cronache a memoria
di Giuseppe Cesare Abba
pagine 64

   





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