Che pensiero in quell'ora, che sgomento la patria lontana!
Bisognava aver uditi i vecchi, ultimi testimoni della rotta, quando narravano queste cose nel rozzo ma pittoresco e vigoroso linguaggio di questi monti! Ora son tutti morti, e la prima Compagnia Alpina passò senza la consolazione di averne trovato uno che potesse dire d'aver veduta la gran tragedia.
Da Montenotte a Dego, si va tra faggi e castagni che, tormentati dai vènti marini, empiono le solitudini di un clamore monotono, tedioso, come di cascate d'acque molte e lontane. Si incontrano casolari ai varchi, sulle vette, in grembo ai valloncelli verdi; e che bei nomi! Quel tetto che si vede laggiù, è d'una casa di coloni chiamata "l'Amore". Date un'occhiata a sinistra. Li vedete quei massi che l'uno sopra l'altro sembrano un tumolo di chi sa qual uomo favoloso? Ebbene, là sotto v'è una spelonca dove, cara leggenda, Adelasia visse i suoi amori con Aleramo. Quella casetta laggiù in quel fondo, tra quei castagni spanti che sembrano secoli, presso quel torrentello che va via luccicando come corresse argento colato, la chiamano "l'Erede" e vi nasce la bellezza. Da generazioni, maschi e femmine, tutti statue greche in quel tugurio, in quel bosco! E suonano da tutte le parti canzoni che cercano il cuore, fanno invidiare la semplice vita di quella gente, dànno persino un senso vago dei tempi feudali. Udite?
Er fieu du re l'è 'ndà spassagèeIn s'ra riva der mar;
U n'a sentì na certa vux;
Chi a r' è sa li ca canta?
Sa li ca canta a n'è pa per vui,
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