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      Vi era venuto dalla valle del Tanaro, pieno di mesti presentimenti. Un giorno, mentre marciavano sotto la pioggia, un sergente molto amato da lui e campato poi vecchio sino al 1859, molle sino alla pelle, inzaccherato, stanco morto aveva osato dirgli:
      Che vita le tocca, signor cavaliere, lei che poteva starsene tranquillo nel suo palazzo di Torino, coi piedi al fuoco!
      .
      Il cavaliere si era mosso come a una puntura e al sergente aveva intimato di tacere: ma poi battendogli sulla spalla aveva soggiunto dolcemente:
      Dimmi, tu ed io chi ci ha più roba al sole?
      Oh! lei senza dubbio; io sono un poveretto.
      Ebbene, avrei potuto starmene al fuoco, nel mio palazzo? Eppure là v'è mia moglie, v'è il mio figliuolo... Senti, lasciamo andare questi discorsi; e quando una palla m'avrà ammazzato, allora dirai: ecco, il cavaliere è tranquillo".
      Diceva quel vecchio sergente, che il cavaliere Del Carretto era un giovane bellissimo, non molto gagliardo ma fiero, sempre taciturno e scontento forse per cose domestiche. A Cosseria fra le rovine del castello che fu dei suoi vecchi, colto da una palla nel petto, cadde nelle braccia dei suoi granatieri, molti dei quali lo avevano visto fanciullo.
      Ora v'è una lapide lassù posta nel 1860, l'anno in cui tutto sentì come un grande risvegliamento. In essa è scritto di lui, di Bannel, di Quesnel generali francesi, morti nemici e mescolati ora nella pace soave di quell'altura, dove io da giovinetto andava da lungi a leggere la Capanna dello Zio Tom, piangendo a quel grido d'angoscia che ci veniva dalla grande America, e ignorando il gran cuore che si era spento lassù mezzo secolo prima.


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Cronache a memoria
di Giuseppe Cesare Abba
pagine 64

   





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