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      L'indomani, disperato d'ogni soccorso, co' suoi affamati, con Del Carretto morto, Provera chinò il capo e si arrese.
     
      In quel giorno che fu il quattordicesimo d'aprile del 1796, che allegrezza nel Quartier generale piantato in Carcare, quasi a distanze uguali da Montenotte, da Dego e da Cosseria! Buonaparte entrando in casa al Sindaco, dove si era messo da padrone, non lo trovò a far le accoglienze. Quell'ometto, genovese fiero d'animo e nemico ai Francesi, s'era ridotto in cucina per non ossequiare l'ospite mal gradito. Quando si udì venir addosso quel trionfo di generali, andati a cercarlo sino in quel suo rifugio, egli nemmeno si volse. Allora Joubert, pesto e bendato nella faccia, gli menò una scudisciata rimbrottandolo del contegno irriverente. Ed egli, afferrato urlando un coltellaccio, si slanciò contro Buonaparte risoluto a scannarlo. Se non era rattenuto, che mutamento nel mondo sulla punta di quel coltello! Buonaparte non volle che fosse toccato.
      Forse, in quel momento bello della sua vita, la gioia lo disponeva a bontà. Forse il pensiero di tanti vinti, delle bandiere e dei cannoni conquistati, del Direttorio, del mondo che presto si sarebbe prostrato a lui, non gli permise di chinarsi a lasciar punire quell'ometto protervo. O pensò alla casetta di Ajaccio, alla madre, al padre suo che, ventotto anni avanti avrebbe fatto peggio al generale Marbeuf che vinse i Còrsi, se gli fosse entrato in casa a quel modo? Accennò agli ufficiali, e tutti lo seguirono di sopra ossequenti.


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Cronache a memoria
di Giuseppe Cesare Abba
pagine 64

   





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