Buonaparte pensò un poco; certo indovinò di trovarsi ad uno di quei momenti della storia in cui si risolvono situazioni supreme; forse anche sentì che quella per lui era l'ora di afferrare pei capelli la fortuna e di salvare la Francia e la rivoluzione. Nelle Memorie di Sant'Elena troviamo la relazione postuma del ragionamento fatto da lui in quel brevissimo istante in cui Barras gli chiese ed egli rispose il terribile: Sì. Ecco:
Se la Convenzione soccombe, che sarà delle grandi verità della nostra rivoluzione?
Le nostre vittorie, il nostro sangue non saranno più che delle azioni vergognose. Gli stranieri che vincemmo, verranno, trionferanno e ci copriranno di disprezzo. Una gente incapace (intendeva dei Borboni), un corteggio insolente e degenerato (intendeva degli emigrati) riapparirà trionfante, rimproverandoci i nostri delitti, facendone le proprie vendette, e governandoci come iloti, con la mano degli stranieri. Così la disfatta della Convenzione cingerebbe di gloria la fronte dello straniero, e sigillerebbe la vergogna e la servitù della patria".
Diceva queste parole più di vent'anni dipoi, ma erano la rievocazione della visione lucidissima avuta da lui in quel gran momento del suo colloquio con Barras. Il fatto è che il giorno appresso, 13 vendemmiatore, egli con quei cinquemila uomini e quei quaranta cannoni spazzò dalle vie di Parigi le quarantamila guardie nazionali delle sezioni. La storia non tollera supposizioni, sarà vero: ma se la reazione dei repubblicani moderati avesse vinti e oppressi gli ultimi rappresentanti della Convenzione, quanti passi avrebbero avuto a fare i realisti e gli stranieri per ricondurre la Francia sotto il vecchio regime?
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