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      Buonaparte era ancora giacobino allora, ma dovette applaudirsi in se stesso di non aver voluto accettare, poco più d'un anno avanti, l'offerta di Robespierre il giovane che aveva voluto metterlo a fianco del proprio fratello onnipotente, nel posto di quel generale Henriot, di quel grottesco soldato che nelle giornate di Termidoro lasciò travolgere i fratelli Robespierre e tutto il loro gruppo nella rovina. Allora Buonaparte aveva detto al proprio fratello Giuseppe, che lo sollecitava di accettare l'offerta di Robespierre:
      Non c'è posto onorevole per me, se non presso gli eserciti. Abbiamo pazienza! Più tardi comanderò Parigi".
      E ora vi comandava davvero. Da quel 13 vendemmiatore cominciò la sua fortuna. Erano passati i tempi della povertà, delle angustiose peripezie, delle mezze cadute, da cui però si era sempre rialzato da sé, o s'era imbattuto in chi lo aveva rialzato; Doulcet, per esempio, direttore della sezione della guerra. Costui, cui era piaciuto
      quel piccolo italiano", come egli diceva, "pallido, malaticcio, ma singolare per l'arditezza delle sue viste e l'energica fermezza del suo linguaggio", gli aveva dato tutta la sua confidenza; e negli uffici della guerra Buonaparte aveva composto quei mirabili piani di invasione della Valle del Po, ch'egli stesso eseguì poi con rapidità fulminea nel 1796-97.
      La conquista d'Italia era già stata una idea capitale del Comitato di Robespierre, ma l'ispirazione pare fosse dovuta all'influenza del Buonaparte sul gruppo. Comunque sia, l'onore toccò a lui.


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Cronache a memoria
di Giuseppe Cesare Abba
pagine 64

   





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