Entrare in Italia, trovarvi mezzi da campare tra gli agricoltori, ricchezze tra la nobiltà da spogliare: ecco la tesi.
Vincere il nemico e farsi fare le spese da lui era un vincere due volte", aveva detto Baudot alla Convenzione nel 1794. Buonaparte lo sapeva, non aveva bisogno di impararlo da lui".
Come dice bene queste cose il grande storico Sorel! Trascrivo.
Egli, Buonaparte, aveva venticinque anni. Nato còrso, s'era attaccato alla Francia per via della Rivoluzione. Portava nel sangue le passioni primitive che produssero questa Rivoluzione: all'odio e alla gelosia della nobiltà minore e povera contro l'aristocrazia congiungeva l'orgoglio ambizioso del popolo sovrano. Non era di quelli che avevano fatto la rivoluzione, ma di quegli altri a pro dei quali la rivoluzione era stata fatta.
Egli la incarnerà in sé e dirà: "Io sono la Rivoluzione!". Sente in sé le passioni popolari del francese: disprezzo per gli stranieri, odio contro l'Inghilterra, desiderio di conquista, amor della gloria. Farà suo proprio lo splendore della gloria. Farà suo proprio lo splendore della Repubblica, e con questo splendore penetrerà il popolo e l'esercito della Francia. Ma, penetrandolo, lo dominerà".
Non lui, ma l'uomo che egli doveva essere, era stato preconizzato nel 1790, nei primi tempi della Rivoluzione, quando questa era ancora quasi benevola e mite. Rivarol, uno dei membri della Legislativa, aveva detto: "O il Re avrà un esercito o l'esercito avrà un Re: le rivoluzioni finiscono sempre nella spada.
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