Che egli amasse l'Italia appare da un suo lavoro preziosissimo dettato a Sant'Elena e corretto da lui di suo pugno. Vi tratta della configurazione della penisola sotto il titolo: "Campagne d'Italia". E la descrizione che ne fa, è una plastica in cui tutto piglia forma, le pianure, i corsi di acqua, i sistemi di montagna; e la parola vi diventa cosa. Credo che nessuno abbia superato questa descrizione, fatta con amore che si rivela nelle pagine in cui sono tracciate le linee della difesa d'Italia, con una evidenza suggestiva, come se Napoleone vi avesse trattato non di una Italia quale egli l'aveva lasciata, ma di una Italia quale oggi l'abbiamo, unita a nazione. Egli n'ebbe il presentimento e ne scrisse così:
L'Italia pare chiamata a formare una grande e potente nazione, ma essa ha nella sua configurazione geografica un vizio capitale che si può considerare come la causa delle disgrazie che dové sopportare, e dello sbocconcellamento in parecchie monarchie o repubbliche indipendenti: la sua lunghezza non è proporzionata all'ampiezza. Se l'Italia avesse avuto per confine il monte Velino, presso a poco all'altezza di Roma, e se tutto il territorio situato fra il detto monte e il mar Ionio, compresa la Sicilia, fosse stato gettato fra la Sardegna, la Corsica, Genova e la Toscana, essa avrebbe un centro quasi egualmente vicino a tutti i punti della circonferenza; avrebbe unità di correnti, di costumi, di climi, d'interessi locali
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Discorre poi minutamente degli inconvenienti determinati dalla configurazione, col sentimento d'uomo che non poteva valutare quanti poi ne avrebber levati via il vapore e il telegrafo; ma pieno di fede proclama tuttavia l'Italia nazione.
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