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      — Coraggiosi! — rispondeva egli: — ma bisognava sentirli come i loro ufficiali parlavano di noi!
      Io lo avrei baciato, tanto diceva con garbo.
      Povero provinciale di quei di Crimea, richiamato per la guerra, aveva a casa moglie, figliuoli e miseria. Non amava i volontari: gli pareva che se fossero rimasti alle loro case in Lombardia, egli non si sarebbe trovato lì, con trent'anni sul dorso e padre, a dolersi della pelle messa in giuoco un'altra volta. Del resto non si vantava di capire molto le cose: ciò che piaceva ai superiori, piaceva a lui: tutto per Vittorio e pazienza. Avessimo due o tre centinaia d'uomini come lui, buoni a cavallo e a menar le mani, quando saremo laggiù!
      Nella stazione di Novi.
      Si conoscono all'aspetto. Non sono viaggiatori d'ogni giorno; hanno nella faccia un'aria d'allegrezza, ma si vede che l'animo è raccolto. Si sa. Tutti hanno lasciato qualche persona cara; molti si dorranno di essere partiti di nascosto.
      La compagnia cresce e migliora.
      Vi sono dei soldati di fanteria che aspettano non so che treno. Un sottotenente mi si avvicinò e mi disse:
      — Vorrebbe telegrafarmi da Genova l'ora che partiranno?
      Io, né sì né no, rimasi lì muto. Che dire? Non ci hanno raccomandato di tacere? L'ufficiale mi guardò negli occhi, capì e sorridendo soggiunse:
      — Serbi pure il segreto, ma creda, non l'ho pregata con cattivo fine.
      E si allontanò. Volevo chiamarlo, ma ero tanto mortificato dall'aria dolce di rimprovero con cui mi lasciò! È un bel giovane, uscito, mi pare da poco, da qualche collegio militare; alla parlata, piemontese.


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Da Quarto al Volturno. Noterelle di uno dei Mille
di Giuseppe Cesare Abba
pagine 167

   





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