«Nemico numeroso, provveduto di tutto: noi armi pessime, munizioni poche, un quindici cartucce per ciascuno, gli insorti peggio armati di noi».
— Ehi? tuonò un vocione dal corridoio, che ci siete venuti per fare codesti conti?
I due si tacquero.
Suona la sveglia. E Simonetta viene a dirci che si parte. Gran giovane Simonetta! Non si cura di nulla per sé, non vive che per gli altri. V'è una guardia da fare? Simonetta si offre. Un servizio faticoso? Eccolo pronto lui, gracile e gentile. Si distribuisce il pane? Egli si presenta l'ultimo a pigliare il suo.
Ha lasciato a Milano il padre vedovo e solo.
* * *
Fra minuti si parte.
Il nemico è davvero a nove miglia. Abbiamo riposato due giorni e due notti su quest'altura, tra questa gente povera e rozza. Chi sa dove dormiremo stasera? I carri per l'artiglieria sono fatti; la colubrina allunga la sua gola; il corpo dei cannonieri è formato. Sono quasi tutti ingegneri.
15 maggio. 11 ore ant. Sui colli del Pianto Romano.
Un pensiero a casa, poiché tutto e pronto. I nostri cannoni sono laggiù, piantati sulla strada consolare a sinistra. Eccolo là il nemico. La montagna rimpetto a noi ne è gremita; saranno circa 5000 uomini. Noi siamo scaglionati per compagnie. Il Generale da quella punta osserva le mosse dei nemici. Fra le nostre posizioni e le loro, e una pianura non vasta ed incolta. La bandiera sventola sul poggio più alto, in mezzo a noi. Il sottotenente che la porta, mandò me dal Generale, e il Generale mi mandò a lui comandando: «Ditegli che si porti sul poggio più alto, colla bandiera, e che la faccia sventolare!
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