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      Attraversammo il villaggio attristati, e quella povera gente ci guardava, ci faceva cenni di compassione, ci diceva: Meschini!
      Dopo breve tratto sostammo. E allora vidi la nostra bella bandiera portata al centro della settima, quel centinaio e mezzo di giovani quasi tutti dell'Università di Pavia, fior di Lombardi e di Veneti, la compagnia più numerosa e più bella.
      A GIUSEPPE GARIBALDIGLI ITALIANI RESIDENTI IN VALPARAISO
      1855
      Lessi queste parole, trapunte a caratteri grandi d'oro su d'un lato della bandiera. Sull'altro trionfava l'Italia, figurata in una donna augusta, che, rotte le catene, sorge ritta su d'un trofeo, cannoni, schioppi, tutt'oro e argento.
      Io contemplava la bandiera, pensando che in quelle terre lontane dove fu fatta, tra quei patriotti donatori, vive un fratello del padre mio; e intanto vedeva un gran correre di ufficiali e di Guide. Poi comparve il Generale, le trombe squillarono, lasciammo la strada consolare, ci mettemmo pei campi e su per la collina brulla, una compagnia incalzando l'altra. Di lassù scoprimmo il nemico. Il colle in faccia sfolgorava tutto armi, pareva coperto di diecimila soldati.
      — Come? Calzoni rossi? I Napoletani hanno già i Francesi con loro? — sclamarono alcuni sdegnati, vedendo il rosso nelle file nemiche: ma i Siciliani che udirono li quetarono, rispondendo che anche gli ufficiali napoletani portano calzoni rossi.
      Ci ponemmo a giacere, ed erano quasi le undici. Mi parve che fossimo stati a guardarci coi regi pochi minuti, eppure la prima schioppettata non fu tratta che all'una e mezza dopo mezzodì. I cacciatori napoletani scesi lunghi lunghi, giù per quelle filiere di fichi d'India, tirarono primi.


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Da Quarto al Volturno. Noterelle di uno dei Mille
di Giuseppe Cesare Abba
pagine 167

   





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