Deve esservi gran confusione nel campo borbonico. Ci hanno perduti di vista, e nessuno dice loro dove siamo. Gloria a questo popolo; non ha dato ai nemici una spia!
23 maggio. Sopra Parco. Dopo mezzodì.
Alla fine l'han saputo dove eravamo, e nella notte i borbonici si sono avvicinati. All'alba, in fretta in furia, fummo messi in movimento e salimmo quassù. Un buon braccio potrebbe scagliare una pietra di qui sui tetti di Parco. Abbiamo sotto di noi il Calvario e il cimitero a mezza costa; veggo le pietre sulle quali sedemmo ieri, con frate Carmelo. Quel monaco mi ha lasciato un non so che turbamento; vorrei rivederlo.
Staremo a campo qui, tutto il giorno, e forse anche domani. Che cosa si attende? Che significa questo aggirarsi intorno a Palermo, come farfalle al lume?
Maestose le rupi che abbiamo a ridosso e a destra. Indescrivibile la vista di faccia. Chi nasce qui non si lagni d'essere povero al mondo, che anche con una manata d'erba è un bel vivere, se si hanno occhi per vedere e cuore per sentire.
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È giunto un giovane gentiluomo Palermitano, che all'aspetto crederei fratello del colonnello Carini. Alto, biondo, robusto come lui. Si chiama Narciso Cozzo. Venne ben armato e ci seguirà, mettendosi nella mia compagnia. Anch'egli parla della città impaziente, è pronta ad insorgere. Se la gioventù di Palermo è del suo sentire, non v'ha dubbio che non ci attenda il trionfo.
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Coi cannocchiali si scoprono grossi drappelli di soldati, accampati sotto le mura di Palermo.
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