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      Allora una campana cominciò a suonare a stormo, e fu salutata con alte grida di gioia, come una promessa tenuta.
      — Ma che cosa fanno i Palermitani, che non se ne vede? — chiesi ad un popolano che sbucò da una porta armato di daga.
      — Eh, signorino, già tre o quattro volte, all'alba, la polizia fece rumore e schioppettate, gridando viva l'Italia, viva Garibaldi. Chi era pronto veniva giù, e i birri lo pigliavano senza misericordia.
      — Oh!... E i Palermitani ora han paura d'un nuovo tranello?...
      Con quel popolano demmo entro pei vicoli sino a via Maqueda. Là, solitudine e cannonate dall'un dei capi, tirate forse contro un giovinotto che si sfogava a calpestare un'insegna reale strappata giù dal portone d'un gran palazzo. Passammo in un altro vicolo... Dio, che visione!
      Aggrappate colle mani che parevano gigli, a una inferriata poco alta ma ampia, sopra un archivolto cupo, tre fanciulle vestite di bianco e bellissime ci guardavano mute.
      Ci arrestammo ammirando.
      — Chi siete?
      — Italiani. E voi?
      — Monacelle.
      — Oh poverette!
      — Viva Santa Rosalia!
      — Viva l'Italia!
      Ed esse a gridare: «Viva l'Italia!» con quelle voci soavi da salmo, e ad augurarci vittoria. Le vedrò sempre cosi come gli angeli dipinti dal Beato di Fiesole.
      Entrammo in piazza Bologni, già occupata da un centinaio dei nostri. Il Generale, sulla gradinata d'un palazzo, stava interrogando due prigionieri, che piangevano come fanciulli.
      — Volete tornare coi vostri? Tornate pure!... — diceva loro il Generale: ed uno fece atto d'andarsene, l'altro restò. Quello tentennò un poco, poi volle rimanere anche lui.


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Da Quarto al Volturno. Noterelle di uno dei Mille
di Giuseppe Cesare Abba
pagine 167

   





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