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      Fiumara della Guardia, 9 agosto.
      Ieri sera quando fu ben buio, venti barche si staccarono dalla riva di Torre del Faro, la prora diritta alla Calabria. Portavano ognuna dieci o dodici uomini armati, sull'ultima, ritto, gli accompagnava il Dittatore. Si innoltrarono nel silenzio dello stretto e presto furono perdute di vista. Le navi da guerra borboniche erano state sino a sera incrociando là in faccia; alcune si erano poi andate a porre dietro il promontorio di Sicilia, in quell'ombra vaporosa che, di giorno, veduta di qui, mi pare un sogno sereno avuto da fanciullo. Ma due erano rimaste nel bel mezzo del canale. I nostri in folla alla riva, stettero coll'agonia di sentire fra momenti l'urlo dei compagni sommersi: o forse qua e là per lo stretto sarebbero scoppiati gli incendi delle navi nemiche. Ma verso le undici il forte di Scilla balenò, una cannonata destò tutti i campi delle due sponde; poi si intesero delle schioppettate là nell'oscurità lontana; dopo, un silenzio come quando è calato il coperchio d'una sepoltura.
     
     * * *

      Ora si sa quel che avvenne. A mezzo lo stretto, il Dittatore, accertato che le barche non avevano più nulla a temere delle navi borboniche, lasciò che andassero innanzi, designandone per guida una dalla vela latina. E tornò di qua. Su quelle barche navigavano Alberto Mario, Missori, Nullo, Curzio, Salomone, il fiore dei nostri con un dugento volontari scelti, comandati dal capitano Racchetti della brigata Sacchi; capo dell'impresa Musolino da Pizzo.


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Da Quarto al Volturno. Noterelle di uno dei Mille
di Giuseppe Cesare Abba
pagine 167

   





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