Ora che si comincia a sapere come il Dittatore poté lanciarsi a questa impresa, si sa che Fabrizi da Malta, Crispi e Bixio in Genova, gli hanno messo nella coscienza che l'Italia si deve farla in quest'anno o forse mai più.
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Ho riveduto il maggiore Vincenzo Statella con un taglio di traverso nel naso, che rialza la fierezza impressa sulla sua faccia. Un ufficiale ungherese trottava da Torre del Faro, portando non so che ordini del Dittatore. A un certo segno si fermò a pié d'una batteria, chiedendo qualcosa a Statella che era lassù. Statella, o non badasse o non capisse, l'Ungherese gridò, Statella rispose stizzito. Quattro e quattr'otto, fu combinato lì per lì, di scambiare due colpi di sciabola; Statella ne toccò, l'Ungherese tirò avanti al suo destino.
Questo figlio di prìncipi, che ha il padre generale borbonico dei più vecchi e dei più devoti, capitò anelando a Palermo ad abbracciare il Dittatore, il suo vecchio capitano del 1849, venuto a liberargli l'isola. Chi l'avrebbe sognato? È di Siracusa. La sua nobiltà l'ha scritta in fronte; ma il suo coraggio!... Ne parleranno i lancieri borbonici potuti scampare a Milazzo da Missori e da lui.
15 agosto.
Il Veloce che nel 1848 era un legno da guerra della Rivoluzione siciliana, preso poi dai Borboni, fu ricondotto alla Rivoluzione da un Anguissola, e ribattezzato col nome di Tuköry. A Milazzo lavorò da buono; e l'altra notte il Piola, ufficiale della marina sarda, lo condusse a un'impresa che se riusciva!
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