... Si voleva spingersi a Castellamare, impadronirsi del Monarca, vascello borbonico da ottanta cannoni, e a rimorchio menarlo qui, per piantarlo al Faro come una fortezza. Il Tuköry arrivò a Castellamare senza incontri. Era mezzanotte: il Monarca giganteggiava nero sull'acque. Pareva cosa fatta. Alcuni dei nostri bersaglieri del battaglione Bonnet, si calarono nelle lance per tagliare le gomene del Monarca; altri davano già la scalata; ma ecco l'allarme, le trombe, i tamburi, tutta la guarnigione di Castellamare corsa a far fuoco; e cannonate, e schioppettate a grandine. Fu forza rinunciare alla presa. Il comandante del Tuköry stimò inutile stare a farsi cogliere e si ritirò; ma lento come Ajace, a suo agio, lasciando i Napoletani a mitragliare le tenebre.
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Spira un'aria di mistero che pare venga fuori da non so che antro. Non si è più visto il Dittatore da parecchi giorni, e chi dice che è via, chi vuole che se ne stia chiuso nella Torre del Faro. Come il Corrado di Byron, se ci fosse Gulnara!
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Ho voluto dare una corsa fino a Giardini. Quella costa, quelle cittadette mi erano rimaste tanto nel cuore! Trovai per via molti amici della brigata Bixio, che tutti hanno ormai qualcosa di lui nel fare, nel dire, sin nella guardatura. Questo generale pare fatto per tempi come questi e per noi. Piglia la gente, la rimpasta, la rifà: con lui o fare, o rimanere spezzati in mezzo alla via. Uno sguardo, una parola; non basta? gli scatta via magari una sciabolata: e questa è la sola deformità del suo essere.
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